dua lipa

6 result(s) found.

Dua Lipa: La recensione di “Radical Optimism”

  • Dua Lipa – Radical Optimism
  • 3 Maggio 2024
  • ℗ Radical 22 / Warner Records UK

Quando all’inizio dell’anno avevano iniziato a circolare le voci del suo nuovo disco, le aspettative si erano infuocate in un battito di ciglia. Il cambiamento radicale ai connotati del pop durante il 2020, aveva fatto di “Future Nostalgia” un secondo debutto, e di Dua Lipa uno dei punti di riferimento del pop mondiale. In appena quattro anni, sembra che tutto sia sparito. Con l’uscita di “Houdini”, alla fine del 2023 parevano esserci tutti i presupposti per un secondo album trend-setter, ma il singolo si è rivelato solo una delle poche tracce salvabili di “Radical Optimism”.

Dopo aver reso noto il nome, la pretesa che potesse diventare un ennesimo spartiacque nel mainstream, è diventata sempre più forte, sulla scia ottimistica portata avanti dalla stessa Dua, che aveva ammesso di aver tratto ispirazione dal Britpop degli Oasis, e addirittura dai Massive Attack, per la realizzazione di questo album. Beh, mi dispiace deludervi, ma in “Radical Optimism” non sentirete nulla di tutto ciò. Se Dua Lipa si è ispirata a qualcuno per questo disco, quel qualcuno è sé stessa. Non fraintendetemi, non è un crimine, ma in questo caso i banger pop di “Future Nostalgia” non hanno portato a niente di buono sulla consistenza del suo terzo disco. 

Radical Optimism

Il colpo di genio non arriva nemmeno dal punto di vista melodico e degli arrangiamenti né Kirkpatrick, suo produttore di lunga data, né Harle, che avevamo apprezzato lo scorso anno sulla produzione del disco di Caroline Polachek sono riusciti a trovare la via giusta per questo disco, nemmeno con l’aiuto di Kevin Parker (Tame Impala).

Le atmosfere da club di “Houdini” e i richiami alla Golden Era della disco music di “Whatcha Doing”, riescono nel loro obbiettivo di trainare il disco, ma risultano due delle poche tracce veramente interessanti del disco. Anche le tracce più scoppiettanti, come “Training Season” e “French Exit” non riescono ad arrivare ad un risultato sperato. “Illusion” rientra in quelle poche tracce che salvano il disco. L’atmosfera dance anni ’90 si fonde perfettamente con gli stili pop di Lipa. Questo è forse l’unico caso in cui l’artista crea un suono che fino ad ora non ci aveva mai proposto. Le voci agrodolci spalmate sulle chitarre acustiche di “These Walls” si dimenticano non appena la traccia arriva al termine. Purtroppo è il destino di quasi tutte le altre tracce del disco, eccezion fatta, forse solo per “Happy For You” che trova la sua forma migliore solo nel momento del ritornello. 

/ 5
Grazie per aver votato!

Big Ideas: La recensione del terzo disco di Remi Wolf

  • Remi Wolf – Big Ideas
  • 12 luglio 2024
  • ℗ Island Records

La ventisettenne californiana Remi Wolf è tornata giusto in tempo per rinfrescare e colorare questa estate 2024: Big Ideas, infatti, è il nome del suo terzo album, un progetto estremamente significativo ed interessante.

La traccia di apertura è Cinderella, un brano allegro, caratterizzato da una linea estremamente Funky, sia nei suoni che nella voce. Il quesito posto dal testo del brano è ciò che lo rende davvero interessante: deve esserci per forza qualcosa di sbagliato nel modo in cui siamo fatti? Il fil rouge del brano, infatti, è la descrizione della camaleonticità dell’essere umano: si può essere ciò che si vuole, a patto di essere felici. Il paragone con Cenerentola è piuttosto ironico – Remi Wolf intende rompere con convinzione e credibilità gli schemi sociali pre-impostati che, in un modo o nell’altro, logorano la vita di tutti.

Soup è un vero e proprio invito a non andare via, una preghiera a rimanere in un determinato luogo insieme. Il sound è molto più pop e la voce di Remi si mostra in tutta la sua potenza. La zuppa è proprio, in questo caso, un elemento di unione (anche se bizzarro) fra la persona che fa l’invito e la persona intenta ad andare via: “If you gave me your keys, I’ll go and pick up the soup”, canta su una scia di sonorità a metà fra Olivia Rodrigo e Dua Lipa.

Avete voglia di una traccia molto più rilassante e sensuale? Allora Motorcycle farà al caso vostro. È il brano più calmo del roster. Il testo, scandito dalla presenza degli orari, ripercorre una giornata caratterizzata dalla costante presenza di una motocicletta, elemento di nostalgia e quotidianità di questa coppia: il sound, molto vicino a quello degli Alabama Shakes, mescola Black Soul e White Rock’n’Roll. Rapide successioni ed immagini della vita a Miami si susseguono in Alone in Miami e la voce spezzata della Wolf accompagna la triste frase – “Alone in Miami, with you there”. Un testo che si concentra sulla resa nel momento in cui si perde la persona che più ci era affine in una città che non si riconosce più.

Big Ideas

Cherries & Cream è invece, un brano in cui si alternano domande poste al proprio amante: Ti stai pentendo? Come ti senti? Ma soprattutto, se lei è perfetta perché sei qui? È un altro brano che scardina gli stereotipi. “You’re critical, but you taste like cherries and cream, tangerine, avocado. / Yeah, i’m allergic but i like it a lot, so pitful”. Tutti versi che sottolineano quanto sbagliato sia abbandonarsi agli amanti ma quanto, delle volte, sia impossibile resistere.

Interessante come tutti i brani abbiano titoli brevi, proprio ad evidenziare il senso delle “big ideas” espresse però in un una maniera rapida e di rapida immaginazione. Pitful è il brano che meglio esprime il senso di inferiorità che si assume nel momento in cui ci si trova davanti alla persona per cui si provavano dei sentimenti. “Hit me like a truck, i’m so pitful”, sono così pietosa. Il brano ha una linea molto allegra e movimentata, quasi incalzante, che entra in contrasto con un testo pregno di insicurezza.

Frog Rock è sicuramente il brano più originale: forti versi di rane nell’intro accompagnano l’esplosione di tutti gli strumenti sporchi e la voce di Remi mentre intona una critica ad una persona che gioisce ora che lei non c’è più. La tua vita sembra così facile ora che non ci sono più / Non voglio che tu stia bene. Un forte assolo a metà brano dopo questa dichiarazione forte, quasi lapidaria, accompagna un falsetto struggente. In Just the Start la cantante dimostra quanto sia abile anche quando si riduce un brano ad una sola chitarra. La sua voce assume colori ancora diversi e sfumature più dolci in questo brano, in cui cerca di acquisire consapevolezza su suo essere un’artista in un mondo stereotipato e dominato dall’omologazione.

Quando pensi che sia la fine, in realtà è solo l’inizio: viva la reazione, ma soprattutto, viva la fatica per raggiungere i propri obbiettivi. In un mondo orientato esclusivamente ai numeri, alle voci e ai corpi perfetti, Remi Wolf irrompe con la sua personalità travolgente per darci una grande lezione: è necessario smettere di annullare i tratti personali degli artisti per scoraggiare la narcotizzazione più totale e l’omologazione. Le sue “grandi idee” ci piacciono, eccome.

/ 5
Grazie per aver votato!

PinkPantheress: La recensione di “Heaven Knows”

  • PinkPantheress – Heaven Knows
  • 10 Novembre 2023
  • ℗ Warner Music UK Limited.

Il disco di debutto dell’artista ventiduenne di Bath consolida il suo stile artistico, contro le aspettative date dal percorso di altri suoi colleghi. Si, perché se è vero che il successo social, soprattutto con TikTok, come nel caso della Walker, può arrivare in un lampo, come un lampo può anche scomparire. Soprattutto se si sta parlando di musicisti. Per PinkPantheress sembra però esserci una sorte diversa. Con “Heaven Knows”, uscito a due anni di distanza dal Mixtape, “to hell with it”, Vicky trova nuovi spunti, non solo elettronici. Se qualcuno si aspettava atmosfere glitch-pop, si aspettava male.

I suoni partono da pattern elettronici, i synth occupano un ruolo chiave, dopo tutto si sta parlando di musica elettronica, così come lo stile Garage di primi anni 2000, su cui l’artista ha lavorato da subito. PinkPantheress trova il modo di inserire anche elementi più tradizionali, tra cui chitarre classiche, che trovano l’incastro perfetto. 

Messa da parte la sua carriera di TikToker/Cantante, si è concentrata su una strada più difficile, ma sicuramente più appagante. Quella di Artista. Ha anche trovato nuovi collaboratori per la lavorazione di “Heaven Knows”, da Greg Kurstin (Kendrick Lamar, Sia, Adele), e Danny L Harle (Caroline Polachek, Charli XCX e Houdini, ultimo singolo di Dua Lipa). 

Nonostante l’impronta pop, i due producer sono riusciti a mantenere lo scheletro House nello stile della Walker.

I quattro featuring del disco sono azzeccati, in maniera particolare quello della bonus track “Boy’s Liar Pt.2”, con Ice Spice. Uscita inizialmente come singolo di anticipazione lo scorso febbraio, aveva permesso a PinkPantheress di scalare la Hot100 di Billboard. “Nice to meet you” con Central Cee non è da meno. Mentre la struttura dell’arrangiamento rimane dentro i canoni dell’elettronica, la scelta dei suoni accoglie contaminazioni rap che creano il tappeto perfetto per le rime del rapper inglese.

“Another Life”, traccia di apertura del disco è quella che, insieme a “Ophelia”, spicca di più nel disco. Le atmosfere elettroniche e house si emarginano, lasciando uscire fuori elemnti tradizionali, dalle chitarre acustiche agli organi. Nel caso di “Ophelia”, addirittura le strutture delle percussioni cambiano completamente connotati, creando un botta e risposta tra ritmiche garage e breakbeat acustici. I campionamenti di “Feelings” portano la traccia verso sensazioni R&B di primi anni 2000, mentre la Walker si concentra su sensazioni di inquietudine, ansie e incertezza. 

Non manca di dare la sua opinione sui social. Già all’inizio di quest’anno aveva dichiarato di essere fuori dall’ambiente social, e questo disco ne è la conferma. Nell’ interludio “Internet Baby” si scaglia contro le generazioni più giovani che popolano il social cinese. “Non sono il tuo bambolotto di Internet” canta. Nella traccia mette in luce un’incredibile dote vocale, mentre espone una problematica che si sta facendo sempre più seria tra fanbase e artista.

Nonostante ci sia ancora del lavoro da fare per trovare la forma perfetta a cui tutti gli artisti ambiscono, “Heaven Knows” è un disco che mostra un’ottima crescita artistica nella cantante classe 2001.

/ 5
Grazie per aver votato!

Olivia Rodrigo: La recensione di “GUTS”

Olivia Rodrigo – GUTS

8 Settembre 2023

℗ Geffen 

A due anni dall’uscita del suo disco di debutto, l’attrice/cantante californiana, torna con il suo secondo album in studio. 

In GUTS, ci si ritrova immersi dentro un’atmosfera liceale, con ragazze ribelli che si muovono a ritmo inni “teenage rock” tra i corridoi del loro liceo. Eppure, nonostante gli stili che sembrano perfetti per essere utilizzati come colonna sonora di un film di seconda categoria per adolescenti, questo disco ha molto di più. Olivia trova lo spazio su una tela non facile da gestire, per dipingere l’immagine emotivamente forte di una ragazza alle prese con la sua vita da adolescente, con l’ansia sociale, l’essere diversa dalle “belle ragazze”. E forse il problema più grande, dover crescere. 

Olivia guts

Lo stile concettuale del disco non è cambiato, rispetto a SOUR, eppure la cantante sembra essere cresciuta molto dal punto di vista artistico, apparendo più matura. 

Per tutte è 12 le tracce, Olivia è tornata a collaborare con Dan Niro, che aveva già lavorato alla stesura di tutti i testi di SOUR. Lo troviamo anche alla produzione del disco, insieme a Ian Kirkpatrick (Dua Lipa, Selena Gomez, Charlie XCX), Rayan Linvill, Alexander 23 e la stessa Rodrigo. 

L’album comincia con “All-american bitch”, una simil ballad guidata da un arpeggio di chitarra acustica. La ballata dura meno di un minuto, perché la canzone si trasforma in una cascata di suoni graffianti e metallici dallo stile pop-punk, che permette a Olivia di vomitare tutta la rabbia che ha dentro: “Non mi arrabbio quando sono incazzata / Sono l’eterna ottimista / Urlo dentro”. Nella traccia seguente, prende molto spunto da i riff più pesanti del disco precedente, per creare un’atmosfera pop-punk da stadio. 

A differenza dei ritmi parecchio movimentati di SOUR (salvo pochi casi), in questo disco, Rodrigo si prende dei momenti in cui far uscire tutto il suo dolore fra le dolci note di piano, come nel caso di “Vampire” o “logical” o tra morbidi arpeggi di chitarra e armonie vocali, come per “Lacy”. 

In “making the bad” e “Get him back!” emerge quella particolare ispirazione, mai nascosta, agli stili di scrittura della Taylor Swift di RED. La cantante attinge al suo disco precedente, non solo per i pezzi chick-rock, ma anche per le tracce più introspettive, come nel caso di “the grudge”, che nasconde molto del suo primo singolo “Driver License”.

Il disco si chiude con “pretty isn’t pretty”, un power pop, anche qui in stile taylor swift, che fa da colonna sonora perfetta per un ballo del liceo, e “Tenage Dream” una ballata strappa lacrime sulla crescita: Dicono tutti che migliora / Più cresci più migliora /Si, dicono tutti che migliora / Soffio le candeline, buon compleanno a me.

Nonostante questa pagina cerchi di non creare attriti, vorrei chiudere questa recensione con due domande a tutti i detrattori di questo disco. Di cosa dovrebbe parlare una ragazza di 20 anni, se non di questo? E di cosa parlavano i vostri artisti di punta alla sua età?

Voto: 7.9/10

/ 5
Grazie per aver votato!

Miley Cyrus: La recensione di “Endless Summer Vacation”

  • Miley Cyrus – Endless Summer Vacation
  • 10 Marzo 2023
  • ℗ Smiley Miley / Columbia Records / Sony Music Entertainment

“Endless Summer Vacation” è il titolo dell’ottavo album in studio della cantante americana. Lungo tutto il suo percorso, Miley Cyrus ha abituato gli ascoltatori a cambi radicali di stile passando dal country alle diverse sfaccettature del pop ai riferimenti Glam e New Wave di Plastic Heart. Endless Summer Vacation rimane sul filo conduttore del disco precedente, combinando la raucedine della cantate ad arrangiamenti pop contemporanei. Il primo problema di questo disco sta nella discontinuità dello stile delle tracce, dovuto probabilmente al fatto che, come molto spesso accade con artisti di questo livello (abbiamo visto la stessa cosa con Rush! Dei Måneskin), si sia ricorso ad un vero e proprio esercito di autori e produttori tutti diversi fra loro.  Tra i produttori spiccano i nomi di BJ Burton (Eminem, Bon Iver, Taylor Swift, The 1975), Greg Kurstin (Adele, Kendrick Lamar, Halsey, Sia), Kid Harpoon, produttore di gran parte delle hit della carriera solista di Harry Styles. Tra gli attori abbiamo nomi come Aldae (Justin Bieber), Bibi Bourelly (Lil Wayne, Usher), Ian Kirkpatrick, collaboratore storico di Dua Lipa. Nelle tematiche trattate troviamo, vulnerabilità, la ricerca di sé stessi e dell’amore. 

La traccia di apertura è “Flowers”, ormai ampiamente assimilata. È uscita come singolo a metà gennaio, assicurandosi le prime posizioni nelle classifiche. Nella canzone sono presenti riferimenti alla sua passata relazione. “Jaded” racconta i rimpianti dovuti alla fine di una storia, primo fra tutti, il non essere stati in grado di affrontare i problemi insieme. A livello di melodia e produzione è probabilmente la traccia più forte del disco, o almeno quella che ti cattura di più. “Rose Colored Lenses” rallenta il ritmo dell’album, facendo affidamento a elementi classici di generi come il bedroom pop. È potenzialmente la canzone che rispecchia di più il titolo del disco. Parla di amore e sogni, con una vena ottimistica. “Thousand Miles”, primo dei due featuring del disco, vede la presenza di Brandi Charlie. È una canzone dalle tinte più country-pop, almeno dal punto di vista della produzione. Torna la fine di una relazione come argomento principale, ma visto da una prospettiva diversa.

“You”, ballata al piano forte contaminata da suoni di suoni ambientali di sintetizzatore, non riesce ad avere un suo posto nel disco, sembra sia li esclusivamente per traghettare l’ascoltatore verso “Handstand”, probabilmente il pezzo più sperimentale. Ci sono voci parlate, vocalizzi e sezioni ritmiche caratterizzate da campionamenti e drum machine, a condire un testo il cui argomento principale è l’incontro con un amante. “River” si sposta verso il dream-pop, pattern di chitarra funky e batterie sintetizzate. A tratti sembra di sentire la Lady Gaga dei primi anni 2000. “Violet Chemistry” introduce la presa di coscienza per quanto riguarda la relazione con un amante, suggerendo che potrebbe non essere una buona idea. Dal punto di vista dell’arrangiamento, la canzone non si discosta molto dalla sua precedente, almeno fino al cambio di struttura a metà traccia. 

“Muddy Feet”, secondo featuring del disco, vede la partecipazione di Sia, mescola piano forte e drum machine. In “Wildcard” ritorna alle tematiche di “You” ed è probabilmente la traccia più vicina a Plastic Heart. “Island” parla di mancanza. C’è un’atmosfera dalle tinte psichedeliche, caratterizzata da un arpeggio di sintetizzatore. La “Vacanza estiva senza fine” di Miley Cyrus si chiude con “Wonder Woman”. Se questo disco fino ad ora aveva cercato di non cadere nei soliti cliché ecco che arriva questa canzone. Altra ballad in cui lo strumento di punta è il piano forte. La canzone parla di resilienza, dolore e crolli emotivi, e ne parla attraverso la ricetta più vecchia che l’industria discografica conosce. 

Quest’album è un grande minestrone, ci sono troppi elementi e nessuno riesce a trovare il suo posto. Non è sicuramente uno dei peggiori lavori di Miley Cyrus. È un disco che merita di essere ascoltato, ma gran parte delle tracce difficilmente rimane impressa.

/ 5
Grazie per aver votato!

Måneskin: La recensione di “Rush!”

  • Måneskin – Rush!
  • 20 Gennaio 2023
  • ℗ Sony Music Entertainment Italy S.p.a.

Dopo il trionfo al Festival di Sanremo e all’Eurovision nel 2021, i Måneskin sfondano i confini dell’Europa e portano avanti un tour in tutto il mondo che genera centinaia di migliaia di fan. A distanza di circa due anni dall’uscita del loro ultimo album (Teatro d’Ira – Vol.I) la band romana inaugura il 2023 con Rush!

Nonostante le aspettative non fossero alte, questo disco è riuscito a superarle, ed in negativo, riuscendo ad essere anche perggio del suo precedente. Nella loro musica non c’è niente di innovativo e ancor meno trasgressivo, si tratta dell’ennesimo “revival rock” stile “Greta Van Fleet”, ma peggiore. Forse l’unico motivo per cui il gruppo è sulla bocca di tutti, non è tanto per la qualità della loro musica, ma per il disegno che ne è stato costruito attorno, il famoso “Sesso, droga e Rock n’ roll”. La realtà è però ben diversa: chi è abituato agli standard degli ultimi tempi, dettati da Hip-Hop e canzoni pop radiofoniche da una botta e via, trova nei Måneskin un’alternativa che percepisce come buona, quando in realtà è al pari di tutti gli altri progetti radiofonici. 

Per questo album (Interminabile), il quartetto decide di mettere in cabina di regia il produttore Max Martin (Katy Perry, Backstreet Boys, Britney Spears), ben lontano dagli stili che dovrebbero adottare per lo sviluppo del disco. E questo dovrebbe già dare un segnale su quale sia in realtà lo scopo finale di questo progetto. Il secondo segnale è dato dagli autori che firmano gran parte delle tracce: Joe Janiak (Lewis Capaldi, Avicii, Louis Tomlinson), Savan Kotecha (Ariana Grande, Noah Cyrus, Post Malone), Sarah Hudson (Dua Lipa, Justin Bieber, Camila Cabello) sono solo alcuni.

Alla scuderia si unisce poi una versione ormai obsoleta, datata 2005, di Tom Morello (Audioslave, Rage Against the Machine), che affianca Tomas Raggi alla chitarra nella seconda traccia dell’album. Questo esercito di 35 collaboratori, e ripeto TRENTACINQUE, non è stato in grado di creare un album che rappresenti (o rovesci) gli standard attuali del Rock, a momenti verrebbe da pensare che non ci ha nemmeno provato, confezionando un ottimo prodotto radiofonico, ma ben lontano dalla sufficienza.

Rush!

Rush! è un collage di generi e sottogeneri presi in prestito, e a tratti quasi rubati, a varie epoche musicali, ma mai approfonditi. In “Kool Kids”, il frontman del gruppo assume un accento inglese, per scagliarsi contro “i fighetti”, cercando di scimmiottare, come nelle peggiori cover band, un incrocio fra i “The Stooges” e i “Sex Pistols”.

“Gossip” con Tom Morello è un debole tentativo di imitare i grandi anticonformisti, andando ad attaccare una specifica cerchia di società di cui, fuori dal palco, quando si spengono i riflettori, loro stessi fanno parte. “Baby Said” strizza l’occhio al power-pop con blande contaminazioni di Glam-Rock di primi anni 2000, suona vecchia ancora prima di iniziare. Anche le ballate “Timezone”, “If not for you” e “The Lonielest”, trovano una collocazione in un tipo di musica che non esiste più e, per certi tratti, è meglio. I testi appaiono ridondanti e, come detto in precedenza per i generi, sembrano frutto di un collage fatto male di pezzi di altre canzoni. 

“Bla Bla Bla” è un’altra prova di quanto per fare il punk non basta un arrangiamento scarno e un accento britannico, ma se in “Kool Kids” c’era stato un tentativo (finito malissimo), di scrivere del testo, in questa canzone non hanno provato a fare nemmeno quello. “Bla Bla Bla” è un ammasso balbuziente e ridondante di sillabe.

Ma se pensate che a questo punto Rush! abbia già toccato il fondo, vi sbagliate di grosso. Il peggio arriva con “Mammamia” e “Supermodel”. 

In “Mammamia” i Måneskin si trovano davanti a due opzioni, la prima è quella di smontare lo stereotipo dell’italiano mangia pasta, mentre la seconda è quella di scrivere una canzone totalmente assurda con un testo incredibilmente insignificante, condito da pattern funky-rock e stili che richiamano i periodi più bassi della carriera dei Red Hot Chili Peppers. Ovviamente la scelta ricade sulla seconda opzione. 

“Supermodel” è la versione scadente di una canzone di un qualsiasi gruppo alternative mainstream degli anni 2000, ma composta da musicisti che sembrano aver iniziato a suonare da una settimana. Completamente priva di fascino e noiosa, insomma sembra essere contenuta nell’album solo per il suo ruolo di cartellone pubblicitario per la ormai nota piattaforma OnlyFans.

In conclusione, i Måneskin altro non sono che il perfetto esperimento discografico pop travestito da rock. Adatto alle radio mainstream, alle gare a premi e ai talent show, che può infiammare Tik-Tok (che ha loro regalato la fama a livello mondiale nel 2021) ma per il resto rimane un gruppo pop mediocre, non diverso dalle boy band di mediocre fattura.

/ 5
Grazie per aver votato!