A Certain Ratio: La Recensione di “1982”

  • A Certain Ratio – 1982
  • 31 Marzo 2023
  • ℗ A Certain Ratio / Mute Artist

La band post-punk di Manchester torna con “1982”, tredicesimo lavoro in studio, che fa capire subito la sua struttura. E si, perché 1982 non è solo il titolo del disco. Lungo le 10 tracce di questo LP ci ritroviamo in ambienti Funk con sprazzi di Disco parecchio retrò. 

La produzione e il songwriting di questo disco sono curati da tutti i componenti.

L’album ha un bel suono, è brillante, estremamente ritmato, mescola i pattern di chitarra funk a imponenti sezioni di tromba, ma la band pioniera del funk-punk non riesce ad ottenere un buon risultato, non quello sperato almeno.

Un groove di charleston e basso introduce la chitarra funky e i synth sporchi di “Samo”, prima traccia di questo disco scritta da Donald Johnson e Jeremy Kerr. “Jean Mitchell e Andy avevano ragione, voi madri eravate troppo tese”. “Waiting on a Train”, che vede il featuring con Ellen Beth Abdi e Chunky è più promettente rispetto alla traccia precedente. La canzone mette su un caldo groove di basso e batteria, i suoni freddi del Fender Rhodes e rumori di synth, vagando fuori dai confini del funk dentro quelli dell’Hip/Hop. Il rap è un elemento ridondante in questo disco. Compare anche nella title track “1982” nella scelta dei suoni e dei pattern di batteria. La traccia non presenta un testo chiaro e le uniche voci che compaiono o sono costituite da vocalizzi o sono sviluppate attraverso un vocoder. 

Per la stessa legge delle due tracce precedenti, il break iniziale di batteria di “A Trip in Hulme”, ricorda vagamente il campione di una famosa canzone dei Run DMC, arricchito da una sezione di percussioni esotiche e da pattern di basso funk. Il testo non è complesso, ed è principalmente costituito da una serie di frasi ripetute “Ho visto te / Ho visto me”. “Tombo in M3” è la canzone più sperimentale. Introduce suoni al limite fra uno stile horror alla Carpenter e uno stile gotico alla Hitchcock, che si fondono a percussioni della world music.

La chitarra di Martin Moscrop suona un pattrn funk da manuale in “Constant Curve”, che vede il secondo featuring del disco, ancora una volta con Ellen Beth Abdi, che compare tre volte nella tracklist e Empereor Machine. È forse la traccia più sviluppata a livello di scrittura, ma non porta da nessuna parte e suona vecchia già dai primi secondi.

“Afro Dizzy”, ultimo feat. Con la Abdi prende dei colori R&B, su ritmiche Afro. “Puoi vedere come mi muovo?” canta la Abdi, mentre le linee melodiche di clarinetto preparano la traccia a piccoli assolo di tromba. “Holy Smoke” riesce a suonare ancora più vecchia di Constant Curve, mentre in Tier3 ci troviamo in bilico fra i sample percussivi di una 808 e una sezione ritmica più morbida del batterista, il piano elettrico prende quasi le sembianze di un organo. Nella traccia, completamente strumentale, si mescolano flauti, trombe e micro assolo di sintetizzatore. 

L’album si chiude con “Ballad od ACR”. La chitarra cruncy di Moscrop sfuma in una morbida sezione jazz, per poi tornare senza mai togliere nulla agli strati di ottoni, mentre la band affronta una grossa crisi.

Voto: 6/10

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