- April Clocks – Rituals
- 17 Dicembre 2023
- ℗ April Clocks
Il secondo disco, a distanza di poco più di un anno dal debutto, di April Clock, progetto del musicista di Rimini, Danilo Betti, impila strati di droni, suoni ambient e nebbiosi suoni elettronici.
Il viaggio di Betti, iniziato con un semplicissimo negozio di dischi, si è evoluto verso altri orizzonti, artistici e non, che ad oggi lo vedono a capo dell’etichetta Mixed Up. Dal punto di vista artistico, invece c’è molto di più, perché “It Takes Time” è in realtà un secondo debutto per l’artista, che si era presentato al pubblico con “Due Linee”, EP risalente al 2014 e “Deaf Youth”, del 2018.
Da li più nulla, almeno fino al 2022.
Se “It Takes Time” si sviluppava attorno a generi di particolare ispirazione per Betti, dal proto-ambient allo shoegaze, in “Rituals” la situazione è diversa. Il disco, registrato e mixato al Tower of Disintegration nel corso del 2022, è più profondo, ipnotico ed enigmatico. Le tracce si muovono verso paesaggi più cupi e irrequieti, dove la palette sonora è dominata da droni e suoni ambientali dai tratti Sci-fi.
L’album si apre con “Hypersleep”, forse la traccia più calda presente in “Rituals”. Lunga poco meno di tre minuti, è un’intensa stratificazione di suoni granulari. “A Cure” è più minimale. I suoni ambient prendono il controllo del pezzo, tra pioggia e ambienti subacquei, danzano vibrazioni metalliche e rumori. Mentre le prime due tracce del disco erano caratterizzate da una scelta minimalista, in “Ceremony” il gioco cambia. La canzone si gonfia, i paesaggi eterei si espandono e un sintetizzatore sfarfalla per tutti i 5 minuti, verso gli ambienti inquietanti di “Coward”, dove per la prima volta emergono strumenti acustici.
Con la chitarra acustica filtrata di “Coward”, il disco inizia a passare verso atmosfere più cupe e nebbiose. Ne è la prova “Displaced Euphoria”, in cui i suoni principali, che ricordano vagamente il rumore del vento, si avvinghiano a pulsanti sintetizzatori che crescono man mano che la traccia volge al termine. Tornano nuovamente elementi più melodici, con gli organi di “Wound”, e poi ancora suoni ambient. Tutto il disco è un gioco di luci e ombre, tra melodia e rumore.
Nella chiusura, “Mirror Being”, i suoni di sintetizzatore, prendono, anche se solo per un attimo, delle strade diverse, apparendo più nitidi, prima di scivolare lentamente nella nebbia in cui “Rituals” è avvolto.