Diego Pani

Leandro: La recensione di “EGO”

  • Leandro – Ego
  • 29 Maggio 2022 
  • Bunya Records

Il cantautorato è morto: evviva il cantautorato. E Leandro è un cantautore piemontese capace, come pochi nella sua generazione, di dare nuova linfa vitale ad un genere di cui l’Italia sembra andare ahimè sempre meno orgogliosa, preferendo rendersi la vita facile con tragicomiche imitazioni dei fenomeni d’oltreoceano. Ma il cantautorato, come la satira per i romani,  “toto nostro est”.  Ego, il secondo disco di Leandro, è un piccolo scrigno di resistenza scevra di paternalismo con le toppe sulla giacca o di incomprensibile vascobrondismo spinto. La scrittura è personale e universale, intima, gentile, impressionista.  E suona pure bene. 

Ad aprire il disco è Grace, chicca nichilista (io senza amore perché dovrei esistere ?). Colpisce il fortunato cocktail di melodie chiare, a metà tra Belle&Sebastian e il Molteni di Occhi Bassi, e un testo struggente, quasi a raccontare un momento di perdizione e annullamento dopo la fine di una storia. Ad aggiungere pathos ci pensano le seconde voci, la cui intenzione sembra presa in prestito dai Coreuti delle tragedie greche. 

Segue Orgoglio, che apre intelligentemente con il ritornello, uno dei più catchy del disco. Si ammicca questa volta al soul bianco di un Nutini. La scrittura è capace di essere attuale grazie ad un sapiente uso alternato di  *rime baciatissime* e *assolutamente nessuna rima* . Continua la ricerca sonora nei cori finemente trattati e cesellati. 

Prigione di diamanti sembra scritta dai Bluvertigo, sia per melodie sia per l’uso degli intervalli sulle seconde voci. Ma il merito di Leandro e del produttore/co-compositore Paolo Bertazzoli è la forza di lavorare su strumenti canonici fino al raggiungimento di nuove sonorità . Com’è vivo questo cantautorato!

American Beauty ci rivela prima di tutto l’apertura mentale di Leandro, qualità sempre più rara in chi oggi si definisce cantautore. Autotune ? Perché no, se è funzionale ad enfatizzare un momento di apatico stallo subito dopo una tempesta nell’educazione sentimentale del nostro (Prenderò una stanza d’albergo all’incrocio fra le tue gambe aperte e la mia mediocrità). Grande evocatività, interessante saturazione dei fiati. Un incalzante ricordo dei Killers di Good Night Travel Well. In una parola: cinematografica.

Foglie suona come un intermezzo, una leggera poesia zen, sognante quanto basta da ricordare i più vaporwave degli M83 o i più progressivi Colapesce&Di Martino, prima di uscire a riveder le stelle con Nessie, in cui il nostro sembra a metà tra l’attesa di Godot e la ripartenza dall’Ego. 

Angeli chiude il cerchio con cui è iniziato il disco: questa volta è un testo che appare risolutivo e nirvanico (angeli vanno verso un’altra primavera) a contrastare con una scelta sonora oscura e incalzante, quasi ossessiva. 

Ego non sarà forse un disco per tutti, ma è certamente paradigma di uno dei possibili manifesti del nuovo cantautorato italiano, quello di una generazione che, prima di vendere parole di critica sociale o di geopolitica, cerca la mappa di sé stessa. 

/ 5
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The Vaccines: la recensione di “Pick-up Full of Pink Carnations”

  • The Vaccines – Pick-up Full of Pink Carnations 
  • 12 gennaio 2024
  • Super Easy

In medio stat virtus: The Vaccines forse l’hanno trovato. Dopo il tentativo da Dancefloor di Back in the Love City (2021) e del precedente Combat Sport (2018), nel quale strizzavano l’occhio ai Franz Ferdinand, eccoli riappropriarsi delle loro ritmiche d’origine, continuando però la ricerca verso sonorità più tridimensionali grazie ad un uso, questa volta ben calibrato, di tastiere e sintetizzatori.

Sometimes I swear è la opening track, che ci regala fin da subito una melodia di incredibile dolcezza, quasi ad autoproclamarsi i Coldplay dell’underground. Chitarre stratificate e parti strumentali da stadio a condire il tutto.  Heartbreak Kid prosegue poi con una sferzata ritmica degna dei Vaccines d’antan unita all’America appena conquistata dal frontman Justin Young. Voci filtrate, arrangiamenti ricchi. Watch out, Brandon Flowers !

The Vaccines

Lunar Eclipse prosegue il filone di ritorno al futuro mischiando un riff pulito e riconducibile immediatamente ai nostri con l’uso della drum machine. Discount the Kooning è un viaggione new wave: chitarre iper riverberate, sintetizzatori anni ottanta, strofa alla Jarvis Cocker. Siamo inglesi, after all. Distorsore e valvole terremotate per Primitive Man, il cui vero merito è la scoperta di tematiche sociali inedite per The Vaccines, l’uomo primitivo, figlio del patriarcato, promette di cambiare vomitando però parole prive di significato.

Sunkissed è la canzone perfetta per la colonna sonora di un film il cui protagonista ricorda i suoi anni d’oro in cabriolet sulle strade della California: fresca e malinconica, quasi Keane. La situazione si fa più cupa sulle note di Another Nightmare, grazie al riff introduttivo giocato sull’ottava bassa della sei corde, per poi aprire ad un ritornello il cui trattamento della voce fa immediatamente pensare agli Editors. Love to walk away è invece la canzone dei ragazzi fighi che stanno uscendo coi loro giubbotti di pelle, riuscite quasi a vederli entrare nel club. Più stratificata e stellare, quasi electro-pop, The Dreamers ci accompagna verso l’elegante coda di Anonymous in Los Feliz.

Pick-up Full of Pink Carnations è il disco maturo di una band iconica che ha avuto il coraggio di non invecchiare, esplorare strade nuove, a volte vicoli ciechi, a volte una Highway soleggiata. Let’s drive !

/ 5
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Black Pumas: la recensione di “Chronicles of a Diamond”

  • Black Pumas – Chronicles of a Diamond 
  • 27 ottobre 2023 
  • Ato Records 

Il secondo album è sempre il più difficile. Ascoltando quello firmato Burton&Quesada è subito chiaro che il duo di Austin, nonostante le altissime aspettative, (Cinque le candidature ai Grammies collezionate con il loro omonimo album di esordio), Non solo non ha ceduto all’ansia da prestazione, ma si è divertito un mondo. Dal punto di vista cantautoriale questo disco è un inno all’amore e alla vita, semplice ed elegante ma con prospettive fresche ed inedite. Il soul psichedelico a cui faceva riferimento il primo lavoro si è evoluto anche grazie all’apporto del co-produttore John Cogleton ( Bombay Bicicle Club, Franz Ferdinand, Gossip, Killers and much more), ben riconoscibile nelle ritmiche molto più catchy, traghettatore della band verso nuove sperimentazioni sonore che rendono questo disco deliziosamente variopinto. 

La Opening Track “More Than a Love Song”, gioiosa e coinvolgente, ci fa subito capire che Quesada, tra leggeri cori gospel, chitarre distorte ed ipercompresse e dolcissimi archi, è capacissimo di uscire da certi clichet vocali e metrici propri del genere di provenienza regalandoci persino una coda parlata degna di Alex Ebert.

Black Pumas

 Nella successiva “Ice-Cream” si esprime in un falsetto di Princeiana ispirazione a cui abbina un controcanto dalla soluzione ritmica fresca. Arpeggi di sinth, ancora chitarre distorte e pettinate: praticamente gli Mgmt in chiave R&B. Inaspettata, elegante e jazzy ci sorprende poi “Mrs. Postman” con il suo riff di piano che strizza l’occhio al Wu-Tang Clan di C.r.e.a.m. 

Segue poi la Title-Track “Chronicles of a Diamond”, la più aderente ai primi Black Pumas, se non fosse per la voce filtrata che ci accompagnerà più volte all’interno del disco.  “Angel”, crepuscolare ed onirica, quasi cinematografica( si legga Eddie Vedder), ci traghetta verso un mattino di nebbia e speranza. Avete già aggiunto Sauvignon alla vostra playlist “Sex” ? 

Il disco scorre senza altre grandi virate fino a chiudere in bellezza con “Rock and Roll”: ossessiva,stellare, di doorsiana memoria, perfetta per far scendere i titoli di coda su questo riuscitissimo album, senza dimenticare il fondamentale apporto di Shawn Everett al mix (vincitore di 6 grammies). 

I Black Pumas sono tornati e sono l’evoluzione di loro stessi. Nonostante il genere non regali nulla di straordinariamente nuovo al panorama musicale, “Chronicles of a Diamond” è sostanzialmente un disco piacevole da ascoltare dall’inizio alla fine, con le sue sorpresine sparse qui e là. La strada imboccata è quella giusta: nel prossimo lavoro, speriamo che i nostri spingano ancora di più sull’acceleratore della sperimentazione sonora.

/ 5
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