Veronica Mattucci

Suki Waterhouse: la recensione di Memoir of a Sparklemuffin

  • Suki Waterhouse – Memoir of a Sparklemuffin
  • 13 settembre 2024
  • ℗ Sub Pop Records

Una specie di ragno variopinto inserito nel titolo di un disco? Può sembrare una scelta azzardata, ma è l’ultima trovata musicale di Suki Waterhouse. La cantante e modella inglese, infatti, è appena tornata sulla scena con il suo secondo album Memoir of a Sparklemuffin, un vero e proprio caleidoscopio di immagini, ricordi e racconti della sua vita.

Il disco, diviso in 18 brani, si apre con Gateway Drug, una traccia estremamente onirica in cui l’arpeggio di chitarra va a miscelarsi perfettamente con la voce dolce della cantante; interessante la bipartizione del brano che, a metà, esplode in una forte batteria: la voce si fa più dura e viene accompagnata da voci corali che amplificano le immagini oniriche. My fun è, invece, un brano diverso dagli altri, che mostra un’altra sfaccettatura dell’artista: inizialmente più funky, poi quasi jazz grazie all’inserimento di un pianoforte a metà brano, il brano racconta della relazione della cantante con Robert Pattinson; emblematica la frase ‘Who loves me like a love my phone?’.

Il brano seguente è Modell, Actress, Whatever; Suki affronta il concetto della polivalenza dell’essere umano, qui si palesa lo ‘Sparklemuffin’, vengono a galla le mille sfaccettature che possono esistere della stessa anima. Non ci si deve limitare a scegliere, si può essere ciò che si desidera sul palcoscenico della vita.

memoir of a sparkle muffin

Proseguendo con l’ascolto, To get you è forse una delle canzoni più intime: scritta a quattro mani con Greg Golanzez dei Cigarettes After Sex, qui la cantante racconta di quanto possa essere difficile ottenere ciò che si vuole, quanto possa essere straziante fare tanti sacrifici per arrivare alla felicità e lo fa in una maniera del tutto personale, preservando la propria identità attraverso l’accompagnamento di una semplice chitarra. Significativo il confronto tra una delle prime frasi: ‘Honey you’ll never now what I did to get you’ e l’ultima frase, quasi lapidaria: ‘What I do all over again to get you’: non è importante quanto sia stato difficile in passato, ma è importante non darsi mai per scontati e scegliersi ogni giorno per preservarsi anche nel presente.

All’interno del disco sono numerosi i generi che la cantante inglese va a toccare e miscelare: dal folk (in pezzi come My Fun) all’indie-pop (in brani come, OMG e Faded), dal pop-rock fino ad arrivare ad una sfera puramente pop con importanti influenze di Billie Eilish, Lana del Rey, Cigarettes After Sex, Remi Wolf, Taylor Swift… Tornando ad un’analisi più dettagliata della tracklist, Everybody Breaks Up Anyway è un’altra traccia estremamente intima che celebra il concetto della rottura di una relazione; indipendentemente da chi tu sia, l’amore prima o poi terminerà; il testo estremamente pessimista è intonato in maniera rassegnata ed è condito esclusivamente da un pianoforte scarno e da cori nostalgici: anche qui è evidente la forte influenza di Billie EIlish.

Degna di nota è anche Big Love, forse la più energica dell’album; ‘Big Love is all I want’ la frase gridata con più sicurezza, scandita da una batteria estremamente potente a ricordarci che ognuno di noi dovrebbe puntare sempre in alto e tentare di alzare le aspettative.

A livello grafico, la copertina dell’album è estremamente ricca, quasi barocca con la cantante inglese che appare quasi come lo ‘Sparklemuffin’: come ha dichiarato lei stessa, infatti, il titolo dell’album fa riferimento al fatto che questo ragno faccia una danza per sedurre la sua amata ma, se non funziona, viene brutalmente divorato da questa. Suki Waterhouse, infatti, spera che questo disco possa piacere all’esigente mercato odierno musicale, senza essere divorata dalla sua stessa carriera. La cantante inglese, senza dubbio, ha creato un intricato collage musicale: verrà apprezzato o condannato dal pubblico?

3,0 / 5
Grazie per aver votato!

Big Ideas: La recensione del terzo disco di Remi Wolf

  • Remi Wolf – Big Ideas
  • 12 luglio 2024
  • ℗ Island Records

La ventisettenne californiana Remi Wolf è tornata giusto in tempo per rinfrescare e colorare questa estate 2024: Big Ideas, infatti, è il nome del suo terzo album, un progetto estremamente significativo ed interessante.

La traccia di apertura è Cinderella, un brano allegro, caratterizzato da una linea estremamente Funky, sia nei suoni che nella voce. Il quesito posto dal testo del brano è ciò che lo rende davvero interessante: deve esserci per forza qualcosa di sbagliato nel modo in cui siamo fatti? Il fil rouge del brano, infatti, è la descrizione della camaleonticità dell’essere umano: si può essere ciò che si vuole, a patto di essere felici. Il paragone con Cenerentola è piuttosto ironico – Remi Wolf intende rompere con convinzione e credibilità gli schemi sociali pre-impostati che, in un modo o nell’altro, logorano la vita di tutti.

Soup è un vero e proprio invito a non andare via, una preghiera a rimanere in un determinato luogo insieme. Il sound è molto più pop e la voce di Remi si mostra in tutta la sua potenza. La zuppa è proprio, in questo caso, un elemento di unione (anche se bizzarro) fra la persona che fa l’invito e la persona intenta ad andare via: “If you gave me your keys, I’ll go and pick up the soup”, canta su una scia di sonorità a metà fra Olivia Rodrigo e Dua Lipa.

Avete voglia di una traccia molto più rilassante e sensuale? Allora Motorcycle farà al caso vostro. È il brano più calmo del roster. Il testo, scandito dalla presenza degli orari, ripercorre una giornata caratterizzata dalla costante presenza di una motocicletta, elemento di nostalgia e quotidianità di questa coppia: il sound, molto vicino a quello degli Alabama Shakes, mescola Black Soul e White Rock’n’Roll. Rapide successioni ed immagini della vita a Miami si susseguono in Alone in Miami e la voce spezzata della Wolf accompagna la triste frase – “Alone in Miami, with you there”. Un testo che si concentra sulla resa nel momento in cui si perde la persona che più ci era affine in una città che non si riconosce più.

Big Ideas

Cherries & Cream è invece, un brano in cui si alternano domande poste al proprio amante: Ti stai pentendo? Come ti senti? Ma soprattutto, se lei è perfetta perché sei qui? È un altro brano che scardina gli stereotipi. “You’re critical, but you taste like cherries and cream, tangerine, avocado. / Yeah, i’m allergic but i like it a lot, so pitful”. Tutti versi che sottolineano quanto sbagliato sia abbandonarsi agli amanti ma quanto, delle volte, sia impossibile resistere.

Interessante come tutti i brani abbiano titoli brevi, proprio ad evidenziare il senso delle “big ideas” espresse però in un una maniera rapida e di rapida immaginazione. Pitful è il brano che meglio esprime il senso di inferiorità che si assume nel momento in cui ci si trova davanti alla persona per cui si provavano dei sentimenti. “Hit me like a truck, i’m so pitful”, sono così pietosa. Il brano ha una linea molto allegra e movimentata, quasi incalzante, che entra in contrasto con un testo pregno di insicurezza.

Frog Rock è sicuramente il brano più originale: forti versi di rane nell’intro accompagnano l’esplosione di tutti gli strumenti sporchi e la voce di Remi mentre intona una critica ad una persona che gioisce ora che lei non c’è più. La tua vita sembra così facile ora che non ci sono più / Non voglio che tu stia bene. Un forte assolo a metà brano dopo questa dichiarazione forte, quasi lapidaria, accompagna un falsetto struggente. In Just the Start la cantante dimostra quanto sia abile anche quando si riduce un brano ad una sola chitarra. La sua voce assume colori ancora diversi e sfumature più dolci in questo brano, in cui cerca di acquisire consapevolezza su suo essere un’artista in un mondo stereotipato e dominato dall’omologazione.

Quando pensi che sia la fine, in realtà è solo l’inizio: viva la reazione, ma soprattutto, viva la fatica per raggiungere i propri obbiettivi. In un mondo orientato esclusivamente ai numeri, alle voci e ai corpi perfetti, Remi Wolf irrompe con la sua personalità travolgente per darci una grande lezione: è necessario smettere di annullare i tratti personali degli artisti per scoraggiare la narcotizzazione più totale e l’omologazione. Le sue “grandi idee” ci piacciono, eccome.

/ 5
Grazie per aver votato!

Timeless: La recensione del terzo disco di KAYTRANADA

  • KAYTRANADA – Timeless
  • 7 giugno 2024
  • ℗ RCA Records / KAYTRANADA

Timeless ha davvero le carte in regola per incastonarsi tra i grandi classici “senza tempo”? A nemmeno un mese di uscita, analizziamo meglio alcune tracce con cui il produttore canadese ha sbalordito tutti. Sono 18 i nuovi brani del disco che si pone a metà tra l’house e l’Hip-Hop/R&B.

Pressure è la traccia d’apertura, un brano estremamente carico ed energico tutto strumentale pop e dance che sembra andare a contrastare il titolo: ogni tipo di pressione psicologica, fisica sembra arrestarsi di fronte a questi suoni che contribuiscono a conferire una pace interiore estremamente forte. Il brano vede la ripresa di un sample di Thelma Houston.

Proseguendo con l’ascolto in cuffia, Call U Up è il feat con il fratello di Kaytanada, Lou Phelps. Il brano è la conferma lampante del fatto che il talento in casa sia un fatto di famiglia – le barre su questo beat accompagnate da un pianoforte che si fa piano piano sempre più incalzante ad ogni rima rendono il brano estremamente iconico. “I don’t wanna call u up, “cause I don’t wanna fall in love”, la frase più emblematica e ricca di significato che ci ricorda quanto sia difficile frenare gli istinti nel momento in cui sono in ballo i sentimenti e quanto sia difficile far prevalere la razionalità nei momenti di difficoltà.

Il feat successivo che incontriamo è in Weird, un inno alla stranezza che può essere sia una benedizione che una condanna. I cori ad inizio brano sono ricchi di carica emotiva, posti ad apertura quasi a ricordare quanto non sia detto che la stranezza sia una caratteristica negativa e quanto spesso ci dimentichiamo che ognuno di noi può risultare strambo agli occhi di qualcun altro, proprio perché il mondo è bello perché è vario. Forse, però, in questo brano vengono descritti atteggiamenti “strani” che lacerano un’altra persona e a farcelo ipotizzare è il timbro soul di Durand Bernarr, cantautore statunitense.

timeless-kaytranada

Dance dance dance dance è, invece, il pezzo più funky di tutti, un brano che metterebbe voglia di ballare anche alle persone più impacciate del mondo: i suoni della traccia spingono a lasciarsi andare e a provare a non avere timori. Tra i brani senza feat, ma degni di nota ci sono Seemingly, che presenta la voce campionata di Don Blackman che fa irruzione prima di un’esplosione micidiale di cassa, basso e batteria (il brano è “Holding you, loving you”) e Stepped on in cui è forte il tema della generosità scambiata spesso per debolezza: non è mai una grande idea sottovalutare le persone prima di conoscerle, non si può mai sapere cosa hanno dentro o che battaglia stanno combattendo; è triste ricordare quanto, al giorno d’oggi, la generosità sia ribellione.

Un altro brano strumentale è Please babe, una vera e propria richiesta di amore: un brano minimalista caratterizzato dalla sola ripetizione della frase “Please Babe, make love to me”. L’assenza di ulteriori versi fa in modo che l’ascoltatore si concentri esclusivamente sui suoni, estremamente evocativi che rendono ancora più intima la richiesta. La semplicità del brano riesce a far sì che si crei una fortissima connessione tra l’ascoltatore e chi fa la richiesta, così da arrivare a stuzzicare la fantasia di ognuno e la personalizzazione dell’esperienza.

Lover/Friend vede, invece, il contributo della voce pazzesca Rochelle Jordan. Il confine tra essere amici e amanti è estremamente labile e sembra che i protagonisti descritti nel brano l’abbiano superato. Out of luck è un altro feat degno di nota, con Mariah The Scientist. Il brano esplora il concetto di rassegnazione, di impotenza di fronte ad un amore unilaterale che non dà segni di speranza. Ulteriori brani pazzeschi sono Feel A Way (con Don Toliver), Video, Stuntin…Estremamente ricco di featuring, Timeless riesce comunque a preservare una propria identità e personalità ben distinta (cosa profondamente difficile in un mondo in cui fare feat è solitamente una strategia di mercato per fare più stream).

Tramite un ascolto approfondito di questo disco possiamo trovare una risposta alla domanda che ci siamo posti all’inizio: la sua miscela unica di influenze elettroniche, hip-hop e R&B e il suo stile identificativo permetteranno sicuramente a Timeless di sopravvivere a lungo.


Se ti è piaciuto Kaytranada potrebbe interessarti: Sampha.

5,0 / 5
Grazie per aver votato!

Nu Genea: La recensione di “Bar Mediterraneo”

Ricorre il secondo anno di uscita di “Bar Mediterraneo”, terzo album dei Nu Genea, duo di musicisti napoletani formato da Massimo di Lena e Lucio Aquilina. In questa occasione speciale, torniamo a ripercorrere le tappe di questo meraviglioso progetto musicale, interamente (o quasi) in dialetto napoletano.

Si tratta di un concept album estremamente curato e pieno di tematiche: l’estate, l’infanzia, i ricordi (spesso amari), le radici, la leggerezza, la povertà, infatti, sono i topic fondamentali che, tra i pezzi, si vanno a incastrare con l’idea di una Napoli internazionale. Una linea di basso molto definita apre, per esempio, la title-trackBar Mediterraneo”. I tre minuti di strumentale sono un vero e proprio biglietto da visita per questo Bar, questo locus amoenus che il duo ha voluto lasciare immaginare: non si tratta di un semplice brano di apertura, ma di una descrizione implicita di una situazione ben precisa: ora del tramonto, aperitivo, leggera brezza marina, cappello di paglia e bar come luogo della realtà in cui ognuno di noi possa esprimere la propria personalità e gioire della bellezza della vita.

Tienaté”, il secondo brano, è totalmente affidato alla voce di Fabiola Martone. Interessante come il suo timbro e le sue parole, piene di rammarico e amarezza, si vadano a miscelare con i suoni estremamente caraibici ed estivi. Il brano riprende il concetto controverso di Carpe diem: è inutile rimandare a domani qualcosa che si può fare oggi, perché se ci si approccia al domani domani, questo sarà già passato e si andrà a finire in un loop controverso. L’anaforaPur’aié” ,ad inizio brano, conferisce proprio quel senso di impegno rimandato, di tempo ormai perduto. I sintetizzatori sul finale conferiscono una forte idea di reazione, di ribellione a questa dinamica che spesso ci incastra.

Bar Mediterraneo

A seguire in “Gelbi”, la terza traccia, il dialetto tunisino di Marzouk Mejrilett e quello napoletano di un’altra voce femminile ci trasportano con la mente in un’altra dimensione, in un Eden partenopeo in cui tutte le preoccupazioni, ma anche le barriere linguistiche, sembrano sparire improvvisamente. La lingua è un mezzo di comunicazione fondamentale ma passa in secondo piano nel momento in cui ci si approccia per la prima volta all’assolo di ney, particolarissimo flauto tunisino, presente nel brano: è questo, infatti, a parlare una lingua universale.

Marechiaro” è la traccia successiva che prende chiaramente ispirazione dall’omonimo borgo di Napoli. Accompagnato dalla voce potente di Célia Kameni, il duo tratta, in questa hit, la tematica di un amore terminato ormai arrivato al capolinea e dei ricordi di questo rapporto che lasciano aperta ancora una porta: “Pure stammatina c’a speranza e te ncuntrà, Io vaco a ffà nu giro ma nun te faie truvà”. Il francese a inizio e a metà brano, estremamente musicale, ci mostra come i ponti linguistici possano essere spezzati dalla musicalità delle diverse lingue. Gli elettricissimi sintetizzatori sul finale che vanno piano piano a scemare ricordano un po’ quell’amore descritto nel testo, prima molto forte e intenso, poi debole e fioco.

Interessante notare come alcune sonorità del duo ricordino molto alcune sigle dei telefilm degli anni ‘70, sia stranieri che non, quali “Starsy & Hutch”, “Cuore e batticuore”, “Chips”. Un’altra influenza estremamente presente è quella del primissimo Pino Daniele degli anni ‘80.

Riprendendo la nostra analisi, “Straniero” è la traccia successiva, un brano dal tono e dalla vibe leggermente diversa. Il testo non esiste, è costituito esclusivamente dalla enumeratio della parola “Straniero”, forse ripetendola ci si può sentire meno estranei ad un mondo che non ci appartiene? Il Bar Mediterraneo, in questo contesto, proprio il luogo in cui tutti possono sentirsi a casa. Si tratta di un altro brano strumentale, caratterizzato dal forte suono di un mandolino.

Praja Magia”, invece, ci parla di Varcaturo, un villaggio vicino Napoli. Il mandolino stavolta entra in simbiosi con dei sintetizzatori e delle voci corali, la descrizione del brano è proprio quello di un villaggio. Un viaggio onirico che coinvolge tutti i sensi, ci porta nell’estate, nelle onde che ci travolgono e ci accompagnano, ci fa sentire l’odore di sale, il maltempo che arriva ma entra in contrasto con l’armonia del borgo di Varcaturo.

Vesuvio” è la traccia seguente: nasce, in origine, come brano folk di un gruppo popolare di Pomigliano D’arco. Anche in questo caso, però, i Nu Genea non si abbandonano alla facilità di essere scontati: hanno reso dancefloor un brano della tradizione, condendolo con immagini e parole che descrivono il simbolo partenopeo per eccellenza: il Vesuvio. Il testo parla del Vesuvio come una vox media: è sia metafora di salvezza, poiché estremamente simbolico ed affascinante, che di distruzione, in quanto portatore di paura quando fa notte e fa rumore.

Rire” è il penultimo pezzo di Bar Mediterraneo, caratterizzato dalla presenza e dalla voce del cantautore siracusano Marco Castello. È davvero funzionale abbandonarsi completamente alla routine quotidiana e dimenticare come si vive, come si ride? Ridere è importante così come prendere con leggerezza ciò che arriva, in ogni sua forma: forse l’ottimismo salverà il mondo.

La crisi”, posto a chiusura, è il brano meno allegro, più amaro di tutto il progetto. Già dal titolo e dalle sonorità più cupe, infatti, si evince l’argomento fondamentalmente: la povertà. È una madre a parlare ai propri figli che vogliono uscire a tutti i costi: la donna li accontenta con quattro passi di fronte al mare, ma li prega di non spendere troppo. Spesso la vera felicità non è racchiusa in qualcosa di materiale, ma in una gita di fronte al mare: magari è proprio nelle cose che diamo più per scontate e che, magari, trascuriamo.

Degna di nota è anche la copertina del disco: in una sorta di quadro di Panismo, le onde del mare, i colori e la spiaggia vanno a fondersi con il pianoforte quasi a celebrare un’unione perfetta tra natura e musica. In definitiva questo album, anche dopo due anni, continua ad essere fresco, innovativo, contemporaneo: la sperimentazione di musica elettronica miscelata al napoletano e alle altre lingue rende i Nu Genea il duo più sperimentale e interessante della musica attuale italiana.


Se ti piacciono i Nu Genea, potresti trovare interessanti: Khruangbin, Black Pumas

2,0 / 5
Grazie per aver votato!