Black Honey: La recensione di “A Fistful of Peaches”

  • Black Honey – A Fistful of Peaches
  • 17 Marzo 2023
  • ℗ Foxfive Records

“Written & Directed”, uscito esattamente due anni fa (marzo 2021), si è rivelato un
successo commerciale, numero cinque nella classifica UK e numero uno nella
classifica “indie UK”. Ciò ha portato la band inglese a puntare ancora una volta su
questo cavallo. Eh sì, perché “A Fistful of Peaches”, terzo album in studio dei Black
Honey, prosegue sulla linea già traccia dal predecessore, oscillando attorno ad
espedienti pop-rock, ma senza mai divergere in terre sconosciute. Perché alla fine “A
Fistful of Peaches” è un album pop vestito con abiti rock. Al suo interno troviamo i
singoli da classifica (“Out of My Mind” oppure “Up Against It”), sonorità che fanno
l’occhiolino a band alternative/garage oltre-oceano (“Charlie Bronson”), ma il tutto
arrangiato in maniera molto schematica. Per scalare le classifiche avere un buon grip
è fondamentale.

Una volta trovata la formula magica non è difficile rimanervi assuefatti, dipendenti.
Solo i grandi sono capaci di accantonarla, guardando oltre, con religiosa risolutezza.
Si tratta comunque di un lavoro ben suonato, sicuramente dal punto di vista
strumentale, mentre una parentesi va aperta per la voce. Non tanto la vocalità della
cantante Izzy Phillips, sempre eccellente fra sinuose danze melodiche, capace di
toccare le corde più intime del nostro timpano, ma piuttosto il ruolo della “traccia
vocale”. La voce si amalgama poco con gli altri strumenti, ma rimane sempre un po’
distante, in direzione dell’ascoltatore. Ciò emerge ad esempio in brani come
“Heavy” (altra hit da radio) e “Nobody Knows”. Un errore di mixaggio oppure scelta
stilistica?

Riguardo ai testi, la Phillips affronta tematiche molto personali, come la malattia
mentale, ispirata dall’esperienza di intensa terapia. “Ho dovuto essere più onesta e
vulnerabile con me stessa. La maggior parte di questo disco sono io che cerco di
capire dov’è il confine tra la normale salute mentale e quando invece hai dei crolli
ogni giorno, che poi alla fine diventano parte della normalità” ha dichiarato la
cantante inglese.

Il disco si apre con “Charlie Bronson” e con un riff di chitarra fuzzy che sfocia in un
ritmo accattivante, che esprime la rabbia femminile nel ribellarsi allo status di
“ragazze pacate”. Si, perché le donne si possono arrabbiare, e non perdono

femminilità in ciò. Quindi fot***evi, “There is no in between / I’ll take you down
with me”. “Heavy”, così come altri momenti del disco, danno priorità a ritornelli
trascinanti, orecchiabili, tuttavia utilizzando lo stesso espediente, che vede la strofa
seguita da un’esplosione di frenesia chitarristica. Il prevedibile testo della seconda
traccia (“La mia testa è il mio nemico”) viene rimpiazzato subito dall’ottima “Up
Against It”, brano in cui Izzy Phillips esplora più affondo il tema della salute mentale
“Concediti una pausa ragazzo / eri contro di essa, non lo sai?”. “Out of My Mind” ha
tutte le carte in regola per fare fuoco e fiamme nelle radio, un ritornello semplice ed
efficacie, ritmo rockeggiantemente pop e melodia orecchiabilissima. Con “Rock
Bottom” i Black Honey fanno uno step-back, attingendo a sonorità del loro album di
debutto. La batteria apre “Cut The Cord”, suonando come un brano indie pop dei
primi anni 2000, che non suonerebbe fuori posto nei titoli di coda di un classico film
per adolescenti. Stessa solfa per la successiva “OK”. “I’m a Man” è una canzone
carica di emozione sulla violenza sessuale, in cui Izzy si immedesima nella figura
dell’aggressore maschio, elaborando ed esorcizzando il trauma subito. Le parole
“I’m a man / ‘cause I can” ripetute durante il brano sono pugni diretti in faccia. Con
“Nobody Knows” l’atmosfera si fa più dolce, inglobando echi shoegaze e chitarre
lente. Sembra di essere in un sogno malinconico, oppure nel “sottosopra” di
Stranger Things, in cui l’inquadratura si apre ad uno scenario desolato, cupo, e noi
siamo soli, al centro del mondo. Anche se con un testo scontato (“Questa è una
canzone per i tipi strani, gli antieroi / Non ci entrerà se ci provi / Una canzone per i
mostri e gli stronzi / I bravi ragazzi sono diventati cattivi”), “Weirdos” tutto sommato
risulta gradevole, soprattutto nel ritornello. “Tombstone”, penultimo brano, ci
regala uno dei momenti più alti del disco. Un basso importante e chitarre distorte
saturano l’aria circostante. La conclusiva “Brummer” è una via di mezzo fra cantato
e ritmo degli Arctic Monkeys (strofa) e Wolf Alice (ritornello). Un modo sobrio per
chiudere un album tutto sommato buono, ma che non riesce a raggiungere i picchi
dei due precedenti album, finendo per perdersi in soluzioni ripetitive e poco
originali.

Voto: 7.5/10

/ 5
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