Brittany Howard: La recensione di “What Now”

Review

Voto
8.4/10
Overall
8.4/10
  • Brittany Howard – What Now
  • 9 Febbraio 2024
  • ℗ Island / UMG Recordings, Inc.

Torna Brittany Howard con What Now e la risposta è sì, si tratta di un grande ritorno. L’artista si è affacciata al pubblico internazionale con gli Alabama Shakes, band che ha mandato in confusione la critica, tra dubbi e aspettative sulla proclamazione della leader a nuova Janis Joplin. Ciononostante il gruppo è volato sin da subito in alto alle classifiche. In quei pochi anni ha vinto quattro Grammy e suonato alla Casa Bianca, fatto un tour con Jack White e incendiato centinaia di palchi, portando in giro un soul rock moderno e d’impatto. 

Dopo la parentesi r’n’r/punk con i Thunderbitch e l’audace opera prima Jaime, la cantante dimostra maggiore libertà espressiva, sedendo anche alla produzione assieme al compagno di grammy Shawn Everett. A parte le collaborazioni in studio, Howard ha registrato voci, chitarre, bassi, piano e tastiere.
Il risultato è un insieme di brani fluorescenti, amalgamati e solidi, un intreccio tra avant-jazz, soul, funky, dance e psichedelia, input che si possono cogliere facendo attenzione alla scelta stilistica dell’artwork.

Ma c’è di più, perché a parte l’impressionante verve camaleontica ci sono diversi fil rouge da seguire. Il “What Now” personale e globale, che nella semplice domanda “E adesso?” concentra una serie di interrogativi esistenziali. Ed è proprio What Now uno dei momenti più energici, un acid funk che sembra il frutto di una jam tra Prince, Jamiroquai, Jack White e Lenny Kravitz. Emerge poi un collegamento simbolico tra una traccia e l’altra (all’inizio o alla fine), un sottofondo di campane e vibrazioni, come se fosse una meditazione guidata, un percorso di musicoterapia per se stessi e per gli altri che incoraggia un ascolto compatto e non a saltelli.

Durante questo viaggio, il “sentire” è amplificato da una visione intima e pura, è un gancio emozionale che in alcune tracce (se non tutte) è necessario. Una di queste è  Earth Sign, una poesia d’amore universale che suona come il Bowie di “Blackstar”, un’esperienza eterea in armonia con l’ambiente. Ritrovare la felicità nelle piccole cose: è il leitmotiv di I Don’t, una jukebox track dal gusto sixties, un omaggio a quelle sonorità tipiche delle Ronettes o delle Mcguire sisters. Invece con To Be Still Brittany Howard immagina di essere un fiore, che si nutre solo dell’energia e dell’amore che le viene donato.

Già con questi primi ascolti si ha la convinzione definitiva di essere ben lontani dall’accostamento a Janis Joplin, piuttosto ci sono i primi richiami alla voce di Nina Simone. Risalta anche il tema della pace, soprattutto in due episodi. Nell’ Interlude, poggiato per intero su suoni meditativi, che fa da sottofondo ad un appello a tutti gli esseri umani per realizzare la pace cercando una verità rinnovata. Come anche nei versi trionfanti di Another Day  (“Free each other for the first time”). L’ amore è forse l’argomento più ricorrente, presente in tutte le forme e con intensità diversa, anche nei brani già menzionati. Vengono raccontati amori semplici e profondi, ma anche complicati e interrotti.

La voce struggente in Red Flags raggiunge il suo apice nel ritornello, come una richiesta d’ascolto: “Don’t let it die, Don’t say that it’s only love”. Qui la batteria, come in altri casi, assume un ruolo fondamentale conducendo ritmi jazz/hip hop, un po’ come il “Boarding House Reach” di Jack White. E poi le indecisioni a luci soffuse di Samson, il far pace con le ansie e le attese in Patience e i cuori infranti di Power to Undo, il tutto condito con reminescenze “princiane”.

Come se non bastasse, ci si ritrova a ballare con la disco dance nineties di Prove It to You, spiazzante ma coerente con l’immagine sonora generale. A chiusura arriva Every Color in Blue, un crescendo viscerale di percezioni e sensazioni sulla base di un intreccio di chitarre simile ai Radiohead di “In Rainbows”. Qui la voce è intensa, risonante, più vicina alle interpretazioni di Nina Simone. 

Riflessioni finali: in alcuni casi si possono riscontrare ridondanze nei testi, ma è un dettaglio mascherato dalla varietà degli stili e dall’interpretazione cosciente su ogni singola parola.

Le linee vocali predispongono ad un ascolto più intimo e riflessivo rispetto al passato, ma c’è sempre tanto groove e una potenza espressiva che rimane impressa per giorni. E così come Brittany Howard declina il “sentire” e lo distende attraverso parole e suoni, allo stesso modo si può “vedere” l’esplosione di colori, che si traduce in un sound variopinto, eclettico e meditativo.

Sicuramente una delle più interessanti uscite discografiche di quest’anno, una bussola da orientare ogni volta che ci si chiede “What now”. 

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