Daniela Pes: La recensione di “Spira”

Oscurità e aloni di mistero nell’esordio art-pop dell’artista gallurese.

Review

Voto
8.6/10
Overall
8.6/10
  • Daniela Pes – Spira
  • 14 aprile 2023
  • ℗ Daniela Pes / Panico Srl

Se nel sottosuolo musicale italiano c’è una stella polare che importa nel nostro paese sonorità difficili da scovare, quella è senza dubbio Tanca Records, etichetta fondata da Jacopo Incani (iosonouncane), che ne cura anche la direzione artistica. Se lo stesso Iosonouncane era (è) uno degli artisti più interessanti, attraverso tanca abbiamo scoperto artisti del calibro di Vieri Cervelli Montel. Daniela Pes si dimostra l’ennesima incredibile scoperta dell’underground musicale italiano.

La musicista, classe 1991, porta con sé un bagaglio formativo di matrice jazz che, forse, ha contribuito a creare un’ampia visione di tutto ciò che riguarda il punto di vista concettuale di una canzone. Perché si, le sonorità di Spira vanno da tutt’altra parte. C’è elettronica, folk e un miscuglio di lingue diverse, l’italiano si intreccia con il dialetto della Gallura e vocalizzi inventati. 

“Spira” è un viaggio onirico figlio della terra da cui proviene. I synth trovano un connubio perfetto anche con una serie di soluzioni percussive dai tratti folcloristici. Insieme ai vocalizzi per tutto il disco, non si creano solo altalene emotive, tra angoscia aure misteriose e a tratti calore, ma un’istantanea nitidissima del momento in cui l’antico incontra il moderno.

La traccia di apertura “Ca Mira” è quella che rispecchia più di tutte ciò che è stato detto in precedenza. Si insinua nelle orecchie come un’antica cantica, prima che delle percussioni tribali la portino in un vortice d’avanguardia che defluisce nei loop percussivi di “Illa Sera”.

Con la terza traccia, “Carme”, unico singolo di anticipazione di questo progetto, si tocca forse il picco emotivo di questo disco. Questa volta la voce gioca con echi e loop. È calma, quasi rassicurante, finché lo scroscio della pioggia non esplode in linee vocali rauche. Ed ecco che tornano i tamburi e, prima che te ne accorga, sei di nuovo in quel vortice. Sospeso tra gli strumming di chitarra acustica e stratificazioni di sintetizzatore. “Ora” è inquietante, la voce è filtrata, persa tra le percussioni e suoni ambientali. 

Quello che emerge già dalla sola prima metà del disco è l’incredibile capacità, che molto spesso risulta anche la cosa più difficile quando si cerca di costruire un disco, di creare delle tracce che puoi riuscire non solo ad ascoltare ma a guardare. “Spira” riesce a creare, con ogni sua sfaccettatura, delle immagini estremamente nitide. 

L’organo di “Làira” si scontra nuovamente con loop percussivi e armonie vocali con una cadenza simile a quella di una filastrocca. In un attimo la traccia sembra uscire da una colonna sonora di Göransson, mentre fiati folkloristici vibrano sulle strutture di percussioni. In “Arca” arriva un altro picco emotivo incredibile. La piccola parte vocale all’inizio, altro non è che l’accesso ad un paesaggio sonoro meraviglioso, le melodie hanno un calore e una corposità talmente forti, da essere in grado di lasciarti con un groppo in gola per più di tre minuti.

Nei 10 minuti di “A Te Sola” tornano forti tutti gli elementi che hanno caratterizzato ogni traccia di “Spira”. Un attimo prima è puro folk, quello dopo i droni si prendono la scena. In un primo momento è tranquilla, subito dopo è drammatica, poi disperata. Mentre succede tutto questo, la voce di Daniela Pes passa da acuti vocalizzi a sussurri e sospiri. E cantiche – E poi di nuovo questa lingua misteriosa che riesce a trovare in maniera quasi perfetta il suo posto in questo progetto mastodontico. 

E si dissolve, con lo stesso alone di mistero con cui si era aperto, “Spira”. 

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