From Flowers To Flies: la recensione di “We Built This Machine”

Review

Voto
7.0/10
Overall
7.0/10
  • We Built This Machine – From Flowers To Flies
  • 19 Gennaio 2024
  • Broken Windmill Music

Oscurità nei testi, ecletticità ed eleganza nell’esecuzione strumentale, è ciò che emerge nella storia in dieci tracce, con l’aggiunta di un prologo e di un epilogo, raccontata dai From Flowers To Flies nel loro disco di debutto. L’intera opera è intrisa da una mistione di chamber pop e prog rock, sempre molto ben bilanciata ed eseguita alla perfezione.

L’album si apre con la vigorosa “Signs”, dove gli accenti degli ottoni si intrecciano con le vibranti melodie chitarristiche e il ritmo incalzante di basso e chitarra, evidenziando le abilità dinamiche della band. Il breve prologo lascia spazio subito ad un brano dalle due facce, più ritmata, quasi tribale, la prima parte, maggiormente riflessiva e cupa la seconda.

Il singolo di debutto, “Fog”, intriga con la sua sobria eleganza iniziale, sfociando poi in un crescendo climatico avvincente. Gli strumenti si fondono in un intreccio melodico coinvolgente, mentre le voci narrano un senso di immobilità, presto sovrastato da una distorsione graffiante che aggiunge nuova profondità alla traccia.

“Powerlines” irradia un’energia cupa e fragorosa, con un basso post-punk pulsante che si fonde con una pesante distorsione chitarristica e sprazzi di ottone, evocando suggestioni estetiche che richiamano alla mente un incrocio tra Madness e Black Midi. Dopo la poetica strumentale “We Are What We Pretend To Be”, si torna ad atmosfere più angosciose con “The Game”, con echi non troppo lontani dai Porcupine Tree. Qui i synth e il basso guidano in modo avvincente la sequenza vocale, con l’intervento preciso e perfetto della chitarra da metà traccia.

L’intermezzo di poco più di due minuti della quasi totalmente strumentale “38.9°N, 77.0°W” apre la strada in modo

“Glide” presenta un approccio rock più groove e funky, evitando la foga distorsiva a favore di un coinvolgimento, esaltato dalla splendida voce femminile della band. Le liriche approfondiscono i temi dell’ansia e del tumulto moderno, mentre “Contagion” si fa eco di un futuro incerto, dove ci si interroga su quanti danni si possano infliggere, in un prog rock di stampo seventies, con arpeggi di chitarra e organi che si rispondono in un dialogo continuo.

La successiva “Not The Way You Want” è sicuramente la più scanzonata dell’intera opera, con melodie aperte e cori armoniosi.

Dopo la lunga strumentale e atmosferica “Vamp Until Cue… Then Fade”, con giochi di chitarra e ottoni, l’album si chiude con il consumante epilogo, che abbraccia un nostalgico synth-pop e un senso di inquieto idealismo new-wave.

Il finale è un trionfo dirompente, che conclude in modo impeccabile un album d’esordio che fa ben sperare e aumenta la curiosità nei confronti di una band ancora a tratti acerba, ma pronta a sbocciare con un percorso inverso rispetto al loro nome.

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