IDLES: La recensione di “TANGK”

Review

Voto
7.7/10
Overall
7.7/10
  • IDLES – TANGK
  • 16Febbraio 2024
  • ℗ Partisan Records

Nella quinta fatica in studio, il quintetto di Bristol esplora l’amore, in un connubio tra nuove sperimentazioni sonore e suoni in perfetto stile IDLES. 

Con “Crawler”, disco del 2021, la band aveva messo in discussione i tratti canonici del Post/punk, abbracciando scelte elettroniche. In “Tangk” (Pronunciato Tank), la band lo fa di nuovo, da prima scegliendo un produttore insolito per il tipo di sonorità a cui ci hanno abituati. Eppure Nigel Godrich, produttore dei Radiohead, diventa un punto focale di questo progetto. C’è anche un altro tipo di scelta insolita, quella che vede Kenny Beats (DaBaby, Denzel Curry) alla produione di POP POP POP. In secondo luogo, con la scelta dell’unico featuring del disco, affidato a James Murphy (LCD Soundsystem). Quello che ne esce fuori è uno dei punti più alti toccati dalla carriera degli IDLES. Un disco in cui le strutture melodiche prendono il controllo, pur consentendo ai cinque ragazzi di mantenere i loro tratti distintivi. 

“Tangk” mostra, tra scorci di leggerezza e melodie più graffianti, un lato di Talbot che finora difficilmente ci era dato conoscere. Più vulnerabile, intimo, intento a guardare l’amore sotto ogni sua sfaccettatura. Con momenti di preoccupazione che si intersecano ad attimi di gioia e speranza. Sembra una cosa assurda, per un mondo completamente allo sbando, di cui per altro la band stessa ha parlato in praticamente tutti i suoi precedenti lavori. Eppure il risultato è incredibile. 

IDLES

Da “IDEA 01”, apertura del disco, arriva una ventata di aria fresca, costernata da stratificazioni di droni, rumori e arpeggi di piano forte. “Gift Horse”, uscita come singolo lo scorso gennaio, è un po’ un salto indietro nel tempo. I sentori di Post-Punk sono più vividi, dalle sequenze ritmiche alle voci roche e sbiascicate. Un trampolino insolito verso il quadro gioioso di “POP POP POP”. 

Tra i tamburi sincopati di “Roy” si districano arpeggi di chitarra sfocati, mentre la voce di Talbot passa da sussuri a grida tra una strofa e l’altra. “A Gospel” è un’intima ballad tra piano e voci. È il punto in cui la band si discosta di più da quello che era il suo sound originale, ed è probabilmente la traccia che meglio incarna il disco.

Nonostante un ritorno a sonorità più canoniche in “Dancer”, la collaborazione con James Murphy si sente tutta. La traccia suona incredibilmente sporca, non è ai livelli di “Gift Horse”, è un qualcosa di diverso, che riesce a conferirle un’aura di lucentezza. “Grace” riporta la calma sviluppandosi su una serie di strati di sintetizzatore. Con questa traccia è come se si chiudesse una prima parte di disco, perché nelle successive quattro canzoni, la band sembra come cambiare pelle. 

“Hall & Oates” spinge il piede sull’acceleratore, le chitarre filtrate dominano la scena, insieme alle urla di Talbot. In Jungle, la band non è da meno. I fill di tom creano un crescendo di tensione che sfocia in graffianti pattern di chitarra. Le voci sembrano passare in secondo piano, quasi fossero avvolte dal resto della strumentazione, modus operandi che si trascineranno anche in “Gratitude”. “Monolith”, chiusura del disco, è una delle tracce più sperimentali, ed in un certo senso anche una delle più forti di “TANGK”. La produzione sembra quasi spostarsi verso atmosfere noise rock, o ambient, mentre la voce di talbot si assottiglia per l’ultima volta. 

“Tangk” è un disco sicuramente molto più maturo. Si vede non tanto dalle tematiche trattate, quanto da una sempre meno presente paura di allontanarsi da quello che è il marchio di fabbrica degli IDLES. In questo senso, la inizialmente insolita collaborazione con Godrich, ha trovato il risultato sperato, portando il gruppo di Bristol, ad uno dei dischi più consapevoli e strutturati della loro carriera.

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