Kim Gordon: La recensione di “The Collective”

Review

Voto
7/10
Overall
7.0/10
  • The Collective – Kim Gordon
  • 8 Marzo 2024
  • Matador Records

The Collective è la seconda tappa della carriera solista di Kim Gordon, rocker che non avrebbe bisogno di presentazioni, ma è doveroso ricordare che è stata co-fondatrice di una delle band alternative rock/noise più note del pianeta: i Sonic Youth.

Anni e anni passati a masticare rock ruvido e non solo, perché è un’artista poliedrica che ha lasciato un segno anche nell’arte visiva, nel cinema e nella letteratura. Dopo l’avant-noise di No Home Record ci si poteva aspettare che a settant’anni la signora Gordon avrebbe fatto riposare le orecchie per darsi magari al folk rock minimale, un po’ come Pj Harvey in “I inside the Old Year Dying”. Invece no, perché The Collective è il riflesso di Kim Gordon stessa, ovvero sperimentazione e avantgarde allo stato puro.

Prodotto da Justin Raisen e Anthony Paul Lopez, l’album è stato registrato a Los Angeles, terra natale della musicista. Nessun frammento melodico, niente di confortante o rassicurante: è il racconto di una realtà che sembra lontana da noi, un futuro freddo e disgregato, che in effetti si colloca nel presente. Proprio per questo è un lavoro difficile da assorbire, per svariati motivi in realtà, fosse solo per lo schiaffo diretto al mainstream e per la capacità di spogliare le nostre vite e metterle a nudo davanti alla desolazione e al disagio. Per farlo l’ex Sonic Youth usa un linguaggio sonoro rugginoso e “futuristico”, un codice che distorce il formato canzone e lo contamina con la trap e l’industrial.

The Collective

Iniziando gli ascolti con BYE BYE ci si ritrova a riempire una valigia spuntando una lunga lista di cose da portarsi appresso, inclusa una base trap su cui si scagliano chitarre noise dopo l’ultimo “bye bye”. Uscito come singolo, questo pezzo è diventato popolare tra i più giovani grazie a TikTok, un risvolto interessante considerando che non è facile accorciare le distanze tra generazioni così diverse. Da qui in avanti il percorso per arrivare alla fine non è una passeggiata, bisogna essere disposti ad accettare di inoltrarsi in sentieri oscuri e claustrofobici. C’è una collezione (appunto) di “short movies”, di mini film trasformati in canzoni, ma si va oltre le canzoni, infatti ha affermato di considerarsi “un’ artista visuale che suona o che scrive” e questo approccio si percepisce in tutte le tracce.

Ognuno di questi episodi è l’espressione dell’“assoluta pazzia che sento attorno a me in questo momento”, un ritratto generale del “sense of paranoia” dove “nessuno sa realmente qual’è la verità”. Guardandosi quindi attorno e passeggiando nel quotidiano l’artista si rende conto che “L.A is an art scene” e che c’è disagio ed emergenza per le strade di Los Angeles. Tutto questo compone Psychedelic Orgasm. Tornano invece tematiche femministe in I’m a Man, in cui la cantante incarna ironicamente la figura maschile, sgretolando dall’interno il concetto di superuomo.

In tutto il disco la voce familiare di Kim Gordon interviene spettrale e decadente proprio per marcare quel senso di paranoia generalizzato e per evidenziare la mancanza di verità assolute in un mondo virtuale che allontana le persone e mette in discussione il lato umano. Questo è uno dei pensieri dominanti. Nelle recenti interviste ha rivelato anche cosa l’ha spinta a concepire concettualmente The Collective. Leggendo il libro Candy House di Jennifer Egan (titolo tra l’altro di un brano del disco) ha trovato nella trama un collegamento con il nostro presente e quindi il filo conduttore di un’opera che ha definito come distopica e sci-fi.

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Tornando alla musica in senso stretto, la sintesi sonora è un contenitore industrial-hip hop, trap ed electro-dark che mette in serie delle tracce che si sfregano l’una con l’altra, un loop ossessivo che gira su se stesso e che non fa trovare via d’uscita dall’alienazione. Quindi non dovrà stupire una certa ripetitività di suoni, perché probabilmente sarà stata studiata per mantenere una coesione concettuale.

In definitiva Kim Gordon si conferma icona-non icona che a settant’anni è ancora capace di scuotere gli animi e spingersi oltre i confini del rock usando un linguaggio che arriva anche alle nuove generazioni.  Tuttavia, più di qualcuno potrà storcere il naso e non essere d’accordo con sperimentazioni di questo genere, ma forse è ancora presto per fare previsioni sull’eredità culturale che lascerà nel tempo The Collective. 

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