Kyoto: La recensione di “Limes Limen”

Teatralità ed elettronica nell’EP di debutto dell’artista pugliese.

Review

Voto
6.9/10
Overall
6.9/10
  • Kyoto – Limes Limen
  • 145 marzo 2024
  • ℗ Secret Garden

È “Limes Limen” il titolo dell’Extended Play d’esordio di Roberta Russo, in arte Kyoto. Il viaggio musicale dell’artista classe 1996, cresciuta tra Bari e Monza, inizia sin dalla tenera età, quando inizia ad avvicinarsi alla batteria. Da lì è cresciuta parecchio, ed oggi non solo suona, ma produce e scrive. Tra il 2019 e oggi, ha tirato fuori dal cilindro diverse pubblicazioni, dalle più canoniche, “Hearts&Mind” con Rome In Reverse e “Scenari”, a quelle di gran lunga più inusuali. Colonne sonore per spettacoli teatrali e mostre.  

È proprio la teatralità a fare da collante al disco in questione. Con l’ingresso in Garden of J, etichetta nata dai fondatori del festival Jazz:Re:Found, e il sodalizio con Toto Ronzulli (Truematic), Kyoto mescola oscurità ed elettronica ad un’insolita tipologia di testi. Alla lavorazione del progetto, durata tre anni, oltre Ronzulli, prendono parte un vasto assortimento di autori e musicisti, da Giuditta Giuliano e Stefano Florian a Giacomo Sorressa, Michele Ciccimarra e Antonio Stramaglia. All’interno di Limes Limen, si intrecciano palette sonore che fanno il giro del mondo. Da piccole sfaccettature stile Iosonouncane ad una concezione di scrittura che viaggia fino alla Svezia e si insinua nelle composizioni di Fever Ray. 

Limes Limen

In “Sangue”, traccia con cui il disco si apre, scuri e cadenzati tamburi intensificano lo stato di inquietudine dato dalle stratificazioni dei Sintetizzatori. Il testo, scritto da Giuditta Giuliano è recitato e non cantato. Gli inglesi parlerebbero di ‘Spoken Words’, ma la verità è che qui si parla di qualcosa di diverso. “Inferno” si sposta verso strutture più canoniche. Le sezioni ritmiche e gli arpeggiatori sono il tappeto perfetto su un testo, questa volta più musicale, più attento agli schemi della “canzone tradizionale”.

I suoni acidi di “Frontiera”, rappresentano una delle tracce più identitarie del disco. I ritmi velocizzati si spengono completamente in “Buco”, mentre gli ambienti si fanno sempre più cupi e le voci si trasformano in sussurri. È il punto più alto a livello compositivo, prima che il disco defluisca verso “Mishima”, traccia di chiusura. È un vortice di linee vocali processate e strumenti tradizionali. Il punto esatto in cui elettronica e folklore si incontrano. 

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