- Flora Ocean Tiger Bloom – Meatbodies
- 8 marzo 2024
- In The Red Records
Alla loro quarta fatica in studio, i Meatbodies giocano con tanti dei volti della psichedelia. Dopo tre album estrosi e di qualità, ma forse un po’ emotivamente bidimensionali, a questo disco voleva essere conferita più profondità. Ci sono riusciti.
L’album proviene da un momento di crisi nella vita di Chad Ubovich, leader e anima della formazione. L’artista ha vissuto un periodo di difficoltà personali legate a malesseri esistenziali e problemi di salute. Subito dopo, la pandemia ha imposto una serie di battute d’arresto nel percorso di registrazione del disco. Flora Ocean Tiger Bloom è il magnetico prodotto fiorito da una fase di profonde trasformazioni. Troviamo un disco molto a fuoco, dove una certa coerenza e una certa direzione stilistica sono distinguibili anche nei momenti di maggiore distorsione dell’album, dove musicalmente si può rischiare di perdersi. Viene fuori un album in cui Ubovich riesce realmente a dialogare con la psichedelia.
Il primo dei volti della psichedelia con cui i Meatbodies si confrontano è quello più garage, più alternative, più shoegaze, più noise. Eccheggia l’energia degli Smashing Pumpkins di “Gish” (“The Assignment”) e dei Brian Jonestown Massacre di “Anemone” (“Billow”), si ritrova la dinamicità strumentale degli Spaceman 3. È un suono sotterraneo e riverberato, dai bassi pieni, a cui la vocalità acuta e leggermente stridula di Ubovich dona un tocco di acidità. Questa dimensione viene poi approfondita in “Criminal Minds” e “ICNNVR2”. Quest’ultima è la traccia più acida dell’album, distinta sul finale dall’ossessivo litigare di due sax.
La tracklist è inframmezzata da “Silly Cybin”, un brano molto ben costruito e dall’intro incredibilmente soleggiata. Qui i riferimenti della chitarra acustica e dei cori sono rivolti ad una psichedelia che viene dagli anni ’60, naturalista e rilassata. L’effetto conturbante è dato dallo stridore fra la musica e delle liriche emotivamente intense, dai contenuti oscuri, dark, desolanti, come fossero pronunciati sull’orlo di un baratro: “Nothing’s waiting for me/All the grey is creeping […] Nothing’s waiting for me/Suicide is jumping”. Il brano evolve sempre più verso un rispecchiamento del senso emotivo del testo, ritornando all’impronta alternative e garage.
Si arriva alla traccia mediana dell’album: in sette minuti di delirio dall’andatura surf-rock, “Move” condensa tutta la carica trasformativa del disco. La ripetizione quasi ossessiva dei versi “move, move, walk on by” sembra rappresentare lo spirito attraverso cui questa trasformazione personale di Ubovich viene vissuta. È la crisalide che lentamente si apre, proprio a metà del disco.
L’ultima faccia della psichedelia con cui i Meatbodies dialogano è quella dalla vocazione più mistica. Il ritmo rallenta, il sound si fa più arioso. I riverberi e gli effetti sonori stoner (“Psychic Garden”) sembrano muoversi in direzione verticale, come in un’ascensione che diventa compiuta nei suoni impalpabili di “(Return of) Ecstasy”. La traccia di chiusura (“Gate”) riporta il suono a una dimensione più materiale e pesante. Provando a guardare l’album come a un percorso introspettivo, viene da pensare ad un Ubovich riemerso in superfice, in salute, nuovamente in grado di respirare.
Una costante del disco è la vocalità ipnotica di Ubovich, in grado di rendere tutto l’album assolutamente magnetico. L’altro punto fermo è la cura sartoriale nel tenere insieme diverse influenze, anche quelle derivate dalla scena garage californiana e dai musicisti con cui ha lavorato – fra cui, è bene ricordarlo, l’amico di lunga data Ty Seagall. L’ascolto del disco dà l’impressione di un lungo trip introspettivo, eppure rappresenta lo sforzo finora più compiuto dei Meatbodies.