- Massive Attack – Mezzanine
- 20 Aprile 1998
- ℗ Virgin Records Limited
Non sei invecchiato di un giorno…
Nel panorama della musica elettronica, ma forse è più corretto dire della musica, ci sono poche band che sono riuscite ad avere l’impatto che hanno avuto i Massive Attack. E sono altrettanto pochi i dischi che sono riusciti ad avere l’impatto e la longevità di Mezzanine. Il gruppo si era già affermato come pioniere del Trip-Hop con i primi due dischi. Se Blue Lines (1991) e Protection (1994) erano profondamente influenzati dal soul, dal Jazz e dal Reggae, qui i Massive, si spostano da tutt’altra parte. Il loro terzo disco è complesso e oscuro. Le influenze sono profondamente radicate in atmosfere gotiche e, nonostante tutto, Mezzanine è riuscito a creare un’esperienza sonora unica e avvolgente.
Il cambio di rotta creò non poche spaccature all’interno della band. Le registrazioni del disco furono segnate da dissapori tra i membri, dissapori che portarono Mushroom ad allontanarsi dai Massive Attack, una volta completato l’album. Nonostante tutto, però, a conti fatti, portarono più pregi che difetti a Mezzanine, che arrivò alla fine, con un carnet di tracce straripanti di profonde complessità emotive e sonore. Anche oggi, a distanza di 26 anni, la testardaggine di Robert “3D” Del Naja, nel creare un qualcosa di mai sentito fino a quel momento, si conferma il vero punto forte di questo capolavoro.
Sin dal titolo, la sensazione di angoscia è estremamente forte. Tutte le 11 tracce di Mezzanine, contribuiscono a creare un ambiente estremamente angosciante. È come ritrovarsi sospesi in un limbo, in bilico fra luce e oscurità, fra atmosfere inquietanti e allo stesso tempo ipnotiche.
Il buio cala con Angel. La prima traccia del disco setta l’asticella su sonorità oscure e minacciose. È costruita su un riff di basso viscido e corposo. La sensazione di tensione crescente guidata dalle voci di Horace Andy, collaboratore di lunga data della band, schiaccia ogni ricerca melodica. In Risingson ci troviamo ancora più immersi in questo crescente stato d’ansia, che è Mezzanine. Anche qui, la ricerca della melodia viene completamente annientata dal rap di Grant “Daddy G” Marshall e Del Naja, eccezion fatta per quel “Dream on” spalmato qua e la sulla traccia.
Teardrop è probabilmente la traccia più famosa del collettivo di Bristol. È etera e criptica. La voce di Elizabeth Fraser dei Cocteau Twins, danza con leggeri sussurri su un beat incredibilmente ipnotico. È forse l’unico momento del disco in cui la tensione si allenta, mentre vieni avvolto da un senso di tristezza e bellezza allo stesso tempo.
Inertia Creeps rappresenta l’anima più sperimentale e inquietante dell’album. Nonostante l’intro sembrava introdurci ad una traccia con un minimo di melodia, siamo costretti a rivedere il nostro pensiero dopo appena una manciata di secondi. Il ritmo pulsante si sposa in maniera perfetta con sonorità mediorientali, che fanno da tappeto perfetto per un brano che esplora alienazione e paranoia. Le stratificazioni e la cura minuziosa nel sampling creano paesaggi sonori complessi e avvolgenti.
In Exchange entriamo per la prima volta dall’inizio dell’album, in contatto con suoni soul. Niente testo, solo suoni. E che suoni. Dissolved Girl entra a gamba tesa in un ambiente che i Massive avevano solo esplorato superficialmente. L’idea iniziale di Robert su questo disco era quella di mettere da parte campionamenti Jazz e Soul, in favore di Rock, ma in particolar modo Post-Punk. Questa traccia ne è l’esempio più concreto. Disillusione e Autodistruzione sono descritti in maniera impeccabile all’interno delle linee vocali di Sarah Jay.
Man Next Door è invece incredibilmente orecchiabile e melodica. E no, non è sinonimo di leggera. Sui samples di The Cure e Led Zeppelin c’è una costruzione sonora impeccabile di Andrew (Mushroom) Vowles, combinata perfettamente con i testi di John Holt e la voce di Hinds. Black Milk introduce sensazioni malinconiche al cocktail emotivo di Mezzanine. La voce di Elizabet Fraser, annegata nel riverbero, è snervante, mentre striscia sopra i leggeri arpeggi di piano della traccia. La title-track sintetizza tutte le atmosfere cupe e introspettive che caratterizzano l’album. Mette in primo piano il completo abbandono delle strutture d’arrangiamento classiche, convertendosi in una traccia in continua evoluzione, e stampa un punto fermo sull’incredibile complessità e ambizione di Mezzanine.
Gli echi nelle chitarre sull’intro di Group Four si infrangono sulle voci filtrate di Del Naja. Con i suoi otto minuti e il campione di Up The Khyber dei Pink Floyd, Si dimostra la chiusura perfetta di un disco altrettanto perfetto. Nonostante Group Four sia a tutti gli effetti la traccia di chiusura del disco, prima che Mezzanine volga al termine, ci ritroviamo davanti ad una reprise di Exchange, questa volta scritta fra parentesi. I tratti spettrali della produzione di Vowles si spengono sulle orchestrazioni finali. Ciò che rimane del disco sono soltanto i rumori leggeri della puntina che scorre sui solchi di un vecchio vinile.
Mezzanine è con tutta probabilità l’apice della carriera dei Massive Attack e, come per molte altre band, rappresenterà la loro fine. Qualcuno lo capirà subito dopo la fine delle registrazioni, qualcun altro ci arriverà più tardi. Nonostante il massiccio impatto culturale e l’influenza che questo disco ha avuto, non solo sulla musica elettronica, la vera lezione da capire qui è forse un’altra.
Non sempre le scelte che ci si presentano davanti sono semplici, certe volte rischi solo di non essere capito, altre finisci per rimanere da solo. Questo è stato il caso di Robert Del Naja. Le scelte sonore di Mezzanine hanno portato gli altri componenti ad allontanarsi. E questo portò non poche difficoltà al processo creativo di Robert, nei dischi successivi. Ma se qualcuno vede questa scelta di “3D” come un puro atto di egoismo, provate a chiedervi: “Dove sarebbe oggi la musica se non fosse per Mezzanine?”.