Mitski: La recensione di “The Land Is Inhospitable and So Are We”

  • Mitski – The Land Is Inhospitable and So Are We
  • 15 Settembre 2023
  • ℗ Dead Oceans

Nel suo settimo disco in studio, la cantautrice americana toglie alla sua arte qualsiasi forma di lucentezza e bagliore, per dar spazio a un’atmosfera intima e introspettiva. “The Land Is Inhospitable and So Are We” è un album che viene fuori dal momento più buio di Mitsuki, in cui aveva contemplato un ritiro e, come spesso accade, risulta essere il più riuscito, quello in cui ogni strumento, ogni parola e ogni vocalizzo sono nel posto giusto al momento giusto. “The Land” si allontana da ogni forma di pop mainstream, circondandosi di sintetizzatori freddi, suoni organici e tematiche quasi fatalistiche che passano dai cambiamenti climatici ai problemi personali.

Ad aprire questo disco è “Bug Like an Angel”. La traccia comincia da dove Laurel Hell si era fermato, con Synth drammatici, una chitarra acustica e la soffice voce di Mitski. Il crescendo emotivo della canzone arriva al suo apice con un coro di 17 elementi che insieme all’artista canta di quanto a volte “un drink sembra aiutarti come se fosse la tua famiglia”. Il coro, arrangiato da Drew Erickson, viene affiancato alla band in diversi punti di questo disco. Il suono di “The Land” vira verso una palette dai tratti alt-country in “Buffalo Rplaced”.

Mitski-the-land

La voce della cantante si assottiglia, schiacciata di suoni aerosi delle chitarre acustiche. Questo tocco country riecheggia spesso nel disco, in tracce come “Star”, “The Frost” e “I don’t Like My Mind”. In chiave diversa, è presente anche in “Heaven”, una ballata romantica in cui i sintetizzatori si dissolvono per lasciare spazio a ampie orchestrazioni e ai morbidi suoni squillanti della pedal steel

Le prime tre tracce ci conducono verso una sensazione di pace, che viene completamente disintegrata nei primi secondi di “I Don’t Like My Mind”. Alla quarta traccia si capisce dove l’album sta cercando di puntare. Tutto, dagli arrangiamenti all’ordine delle tracce, serve a creare una situazione di instabilità, tra gioia e dolore, vita e morte, distruzione e rinascite. I Don’t Like My Mind” è la canzone che più riesce a rappresentare questo.

“The Deal” richiama gli stili dei dischi precedenti, con atmosfere da film e le linee melodiche di violino che danzano perfettamente con la voce dell’artista. “Voglio che qualcuno prenda quest’anima / non posso sopportare di tenerla”, canta. In “Star” i synths si riducono a suoni atmosferici indistinti, mentre la voce si inalbera verso vocalizzi stile Nick Cave, in una traccia carica di emozioni, tra le più forti del disco. 

“I Love Me After You” chiude il disco con strati di suoni filtrati, come se li stessimo ascoltando da dentro una bolla, o da sott’acqua. “Sono il re di tutta la terra”, canta prima che da quella bolla fuoriescano pesanti batterie e chitarre distorte.

Voto: 8.2/10

/ 5
Grazie per aver votato!
Articolo Precedente

Cappie: La recensione di “Tornerai”

Prossimo Articolo

The National: La recensione di “Laugh Track”

Latest from Recensioni