- Pile – All Fiction
- 17 Febbraio 2023
- ℗ Exploding in Sound
Il nuovo album della band di Boston ci catapulta in una nova era fatta di atmosfere horror, suoni più ricchi e tracce più profonde. I “Pile” non sono certo gli ultimi arrivati sulla scena alternative contemporanea. In 16 anni e 10 album, abbiamo visto il trio americano spostarsi da un genere all’altro, da groove di batteria dalle tinte jazz a un album intero proiettato sul blues. La scelta dei Pile di saltare da un genere all’altro, non era campata per aria, ma aveva uno scopo ben preciso. Arrivare a quest’album. “All Fiction” si abbandona completamente all’interno del periodo di crisi che la band ha attraversato, mette da parte i suoni di chitarra più canonici degli scorsi progetti e abbraccia suoni di sintetizzatore stratificati e granulosi dalla percezione quasi horror, non mancano però, seppur in secondo piano rispetto al resto, suoni più classici, come nel caso della prima traccia. L’album si apre con “It Comes Closer”, tra un pianoforte lontano, suoni di synth impastati e violini sinistri, il cantante sembra prendere in prestito una timbrica vocale alla Curt Cobain, mentre la canzone scivola via. Un suono compatto di rullante sembra quasi volerti prendere a schiaffi su “Loops”, traccia in cui il gruppo torna a vagare sui pattern delle canzoni rock più canoniche. In “Gardening Hours”, come nella traccia precedente, la batteria, che questa volta si presenta con un suono più sporco, stende il tappeto rosso a sintetizzatori distorti, glitch e linee melodiche di basso distanti. “Link Arms” parte con la voce di Rick Maguire accompagnata da suoni metallici e archi. La canzone si abbandona, più avanti, a suoni di chitarra distorti, dando quasi l’impressione di trovarsi sul filo tra sperimentazioni industrial e psichedelia. I violini e il piano sembrano presi in prestito ad un film horror anni 80 e l’atmosfera che si crea è un misto tra inquietudine e curiosità.
“Blood” ricorre a arpeggi di chitarra fastidiosamente interessanti, che portano la voce di Maguire in primo piano rispetto all’utilizzo che era stato fatto nelle tracce precedenti. Anche qui, man mano che si va avanti nell’ascolto del pezzo iniziano a venir introdotti synth, in questo caso più morbidi, violini tremanti e in questa canzone persino delle voci sintetizzate. La traccia più potente del disco è “Lowered Rainbow”. Qui un suono che somiglia vagamente ad un mellotron, prepara l’ascesa di rullanti militareschi e la voce di Maguire che racconta della realtà che si offusca e di cieli che precipitano. I tamburi militareschi rimangono anche nella traccia successiva. “Forgetting” si perde in arpeggi di chitarra cupi e puliti, e una voce riverberata viene accostata ad un rumore che ricorda vagamente quello di una sirena. In “Poison” ritorna lo stile di Loops, mentre in “Nude with a Suitcase” viene preparata la scena per la traccia di chiusura dell’album. Voci malinconiche, un crescendo di percussioni, suoni cupi e distorti, e delle chitarre stracolme di Fuzz. Un ticchettio simile a quello di un orologio ci accompagna lentamente verso “Neon Grey”. Tra voci che tornano ad essere profondamente ispirate al grunge di primi anni ’90 è un piano elettrico vibrante e distorto. L’ultima traccia sembra concepita come una marcia funebre, tra colpi di rullante ripetuti e il solito ambiente sintetizzato, Maguire da per la prima volta dall’inizio del disco un’impronta melodica alla sua voce diversa e più articolata.
In “All Fiction”, il trio de Massachusetts supera i confini del rock, abbandonando (scelta che da molti potrebbe non essere compresa) le chitarre per suoni di Sintetizzatori difficili da digerire. Dal punto di vista produttivo si è volutamente creata un’aura di un qualcosa che sta cadendo in rovina. Anche i ritornelli sono stati messi da parte, in favore di testi molto più evocativi e meno canticchiabili. Tutto questo non è per nulla negativo e da all’album non solo la possibilità di essere il migliore dei Pile, ma di chiudere un cerchio aperto ormai 16 anni fa.
Voto: 7.5/10