- Queens of the Stone Age – In Times New Roman
- 16 Giugno 2023
- ℗ Queens of the Stone Age / Matador Records
Nell’ottavo disco della band statunitense pioniera dello Stoner emergono tutti i periodi difficili attraversati da Josh Homme e soci. Il seguito di Villains è venuto meglio del suo precedente, ma delinea una fase di declino per la band, che negli anni ci ha abituato a ben altro. Nonostante questo, “In Times New Roman” è un disco forte e brillante.
“Obscenery”, traccia di apertura, ci spara nelle orecchie riff di chitarra pesantemente distorti e filtrati, sotto lo swing di batteria di Theodore, prima che queste distorsioni scompaiano in linee orchestrali. “Paper Machete” si lascia andare in spunti melodici più orecchiabili, che strizzano l’occhio a “Queens of the Stone Age”, del 1998. Abbandonano tutto ciò che è superfluo e si concentrano sugli strati di chitarra, un groove trascinante e un assolo filtrato. La simil arctic monkeys “Negative Space” infonde dubbi esistenziali, sprazzi di depressione ed emotività, mentre “Time & Place” presenta dei toni estremamente caldi, assoli che passano da una parte all’altra degli speaker, frangenti in cui la voce tagliente si dissolve in un sussurro, accompagnata dal charleston di Jon Theodore.
In “Made To Parade” i Synth si mischiano alle distorsioni delle chitarre, creando un’atmosfera psichedelica e stordente. Homme elenca i mali del mondo e trova come unico individuo a cui attribuirli il capitalismo. “Carnavoyeur” segue i tratti della traccia precedente, con qualche strizzata d’occhio ad un power rock anni ’70, mentre “What the People Say”, sposta la manopola dell’amplificatore su ‘aggressivo’.
Lo schiocco di dita e il basso corposo di “Sicily” ti catapulta dentro “Rated R”, disco del 2000.
“Emotion Sickness” è acida. Le chitarre pesantemente distorte creano un suono stonato, prima di passare a momenti più leggeri, a base di sliders di chitarra.
Il disco si chiude con i nove minuti di “Straight Jacket Fitting”. Lo scheletro della traccia e un blues infarcito di distorsioni, vetri rotti e brillantezza. La traccia si intensifica minuto dopo minuto, prima di chiudersi in progressioni acustiche Southern Blues.
Dopo aver eliminato le pompose produzioni di Mark Ronson, la band ritorna alle origini, in una chiave diversa. Nonostante non ci sia una così sentita innovazione, “In Times New Roman”, si dimostra un disco piacevole da ascoltare, ma nulla di più.
Voto: 6.5/10