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Beabadoobee: La recensione di This Is How Tomorrow Moves

  • BeabadoobeeThis Is How Tomorrow Moves
  • 9 agosto 2024
  • ℗ Dirty Hit

Nel 2017, Beabadoobee, pseudonimo della cantautrice britannico-filippina Beatrice Kristi Laus, ha fatto il suo debutto con uno stile grunge e lo-fi, ispirato all’indie rock degli anni ’90. L’artista ha catturato l’attenzione con il singolo Coffee, un brano indie-folk intriso di malinconia e speranza che ha risuonato tra gli ascoltatori grazie al suo fascino. Cresciuta in un contesto multiculturale, nata nelle Filippine e trasferitasi a Londra durante l’infanzia, Beabadoobee ha trasformato le sue esperienze di vita – segnata da razzismo e stereotipi – in un’opera musicale che unisce shoegaze, ballate minimaliste e grunge, esemplificata nel suo album di debutto Fake It Flowers del 2020.

Con il successivo Beatopia nel 2022, Laus ha approfondito la sua estetica nostalgica, ma con tocchi contemporanei, esplorando un suono più variegato che ha unito l’indie-rock degli anni ’90 a elementi di jazz-pop e influenze più moderne. Brani come The Perfect Pair e Glue Song hanno consolidato la sua capacità di fondere stili apparentemente differenti, creando pezzi che parlano alla nuova generazione senza dimenticare le radici del rock alternativo.

L’album più recente di Beabadoobee, This Is How Tomorrow Moves, pubblicato il 9 agosto 2024, rappresenta un nuovo capitolo nella sua evoluzione musicale. Prodotto da Rick Rubin nello studio Shangri-La a Malibu, l’album è una riflessione sul dualismo tra l’ascesa alla fama e il desiderio di autenticità e intimità personale. Rubin, noto per la sua capacità di scavare nell’essenza di vari generi musicali, ha aiutato l’artista a mantenere il cuore attitudinale del rock anni ’90, ma con un tocco che risponde alle tendenze musicali odierne. Il disco offre una gamma sonora che spazia dal grunge al pop, con influenze jazz e indie, riflettendo un panorama sonoro ampio e inclusivo.

L’album è ricco di fusioni inaspettate: ritmi bossa nova, atmosfere “zoomer-gaze” e omaggi ad artisti iconici come Elliott Smith, mostrando la crescita di Beabadoobee come artista capace di creare strutture complesse in brani che esplorano temi di amore, perdita e identità.

This Is How Tomorrow Moves

Take a Bite, brano di apertura, cattura l’energia degli anni ’90, con chitarre distorte e produzioni dense che richiamano The Smashing Pumpkins. È caratterizzato da un mix di grunge e pop degli anni 2000, riflettendo le tensioni e le sfide adolescenziali dell’artista. Il tono è rilassato ma determinato, con testi che esplorano le contraddizioni del crescere. California è una traccia tributo all’alt-rock degli anni ’90, con influenze di band come i Pavement. La traccia riflette il “sogno americano” dal punto di vista di una giovane outsider che cerca di trovare il suo posto in un mondo complesso e disorientante. Le sonorità malinconiche e i testi riflessivi enfatizzano un desiderio di fuga e una ricerca di identità.

One Time è un brano che si ispira allo stile di Elliott Smith, con una melodia morbida e sognante. Il ritmo in tempo di valzer aggiunge un tocco nostalgico, mentre i testi esplorano la vulnerabilità e il desiderio di autenticità. È un pezzo che mescola delicatezza e introspezione, con influenze Beatlesiane, mentre su Real Man ci scontriamo con sincerità e genuinità, a confronto con vulnerabilità e disillusione. Beabadoobee utilizza una narrazione personale, descrivendo la sensazione di innamorarsi troppo facilmente per poi rimanere inevitabilmente delusa, comunicando la sua aspirazione a relazioni vere e sincere.

Tie My Shoes riflette sulle relazioni giovanili e la dipendenza emotiva, con una melodia dolce e arrangiamenti minimalisti. I testi evocano immagini di innocenza e intimità, creando un’atmosfera rilassata e contemplativa. La traccia rispecchia le sonorità più delicate di Beabadoobee, con una produzione semplice e diretta. Attraverso una melodia piano-voce, Girl Song affronta con una dolcezza disarmante le difficoltà riscontrate dalle ragazze al giorno d’oggi, sfiorando i temi del giudizio rispetto all’apparenza fisica, il tentativo di rientrare negli stereotipi di bellezza quasi perdendo di vista la propria identità, con una sensazione di dover sempre provare qualcosa alla società che è sempre costante parte della quotidianità.

Coming Home, scritto durante un soggiorno a Los Angeles, è un brano caratterizzato da un’atmosfera tranquilla e contemplativa, con arrangiamenti acustici e uno stile che richiama, ancora una volta, Elliott Smith. La canzone è una porta aperta sulla vita di convivenza, descrivendo tutte quelle piccole azioni quotidiane e le faccende domestiche che si incastrano con il tentativo di trovare tempo per la relazione. Ever Seen è una traccia con una nuova energia, dinamica e vibrante, attraverso la quale viene descritta l’importanza e la potenza emotiva di una relazione riflessa negli occhi di entrambi i componenti della coppia. In A Cruel Affair si fondono elementi indie e bossa nova, creando un’atmosfera particolare che parla di una relazione complicata e non del tutto delineata. Con una melodia leggera e ritmi caldi, il brano cattura la complessità delle relazioni moderne, mantenendo una leggerezza melodica.

Post presenta elementi pop che passano attraverso un filtro “zoomer gaze”, fondendo shoegaze e dream pop. Esplora temi di amore e perdita, utilizzando suoni eterei e riverberi per creare un effetto avvolgente e sognante, ispirato alla produzione pop di Taylor Swift. Beaches è una traccia più vivace che evoca immagini di spensieratezza e libertà tipiche della stagione estiva. La melodia è orecchiabile e incalzante, con testi che parlano del desiderio di fuga e di trovare pace ed equilibrio, richiamando un’estetica estiva senza tempo. Everything I Want può essere identificata come un “seguito spirituale” di Glue Song. Questo brano è estremamente romantico, con testi dolci e una melodia accattivante. Esprime la crescita di Laus nella comprensione delle relazioni, cercando di fare le cose “nel modo giusto questa volta”.

The Man Who Left Too Soon è una riflessione malinconica sulla perdita e il ricordo di qualcuno scomparso troppo presto. Musicalmente minimalista, la canzone mette in risalto la voce emotiva di Beabadoobee, con un arrangiamento semplice che accentua l’atmosfera intimista. Il brano è stato scritto pensando al suo ragazzo che, intorno ai vent’anni, ha subito la perdita del padre. This Is How It Went, il brano di chiusura dell’album, riflette sul processo creativo e sul ruolo della musica come forma di espressione che viene utilizzata per guarire e non per ferire. La canzone esplora il potere catartico della composizione, con testi che rivelano l’introspezione dell’artista e chiudono l’album con una nota sincera e riflessiva.

This Is How Tomorrow Moves è un album in cui traspare chiaramente la capacità dell’artista di fondere passato e presente, rimanendo fedele alla sua identità musicale pur sperimentando nuove direzioni. Con questo album, Beabadoobee dimostra di essere una voce interessante e versatile nel panorama musicale contemporaneo, capace di catturare e rispecchiare le emozioni di una generazione in costante evoluzione e sottoposta a una costante critica.

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AcomeandromedA: La recensione di Omissis

A distanza di dodici anni da Occhio Comanda Clori, disco di debutto non che unico progetto, gli AcomeandromedA ritornano con “Omissis”. Questo contenitore di nove nuovi brani, pubblicati per Dischi Uappissimi (Buckwise, Bouvier, Lazzaretto), è una lente di ingrandimento sulla società moderna e sulla qualità della vita. 

La band, composta da Vito Indolfo (voce, flauto traverso), Willy Elefante (tastiere), Andrea Manghisi (chitarra), Matteo Simone (basso, synth) e Michele Manghisi (batteria), ha visto la luce per la prima volta all’inizio del 2008. Occhio Comanda Colori era si un progetto profondamente radicato nel rock, ma con decine di sfaccettature diverse. Il progressive si perde in una terra di confine a metà fra tempeste strumentali e strizzate d’occhio al pop. Da lì iniziano una serie di spettacoli live, non solo sul territorio italiano, intavolano collaborazioni con artisti internazionali e ampliano la loro visione di musica. Purtroppo tutto ciò non basta, perché gli AcomeandromedA si prederanno successivamente una lunga pausa, almeno fino a oggi (in realtà al 2022).

Messo in cabina di regia Giulio Ragno Favero, bassista del Teatro Degli Orrori, il gruppo ricomincia da dove si era fermato circa dieci anni fa. Con Omissis il quintetto pugliese, trova finalmente il modo di approcciarsi alla musica elettronica, tanto cercato prima del periodo di pausa, costruendo una palette sonora a metà fra Afterhours e Bluvertigo. 

omissis

L’album si apre subito con una delle tracce più interessanti. Le voci di Indolfo, immerse in ampi riverberi, galleggiano su stratificazioni di suoni sintetizzati e beat sincopati in Cosmiconica. La morbidezza dei primi minuti si schianta su assoli squillanti fill di batteria e suoni Industrial. Con Il racconto del passero, l’elettronica viene sovrastata da ritmi cadenzati e enormi distorsioni di chitarra prima che, su Tina, si torni alla leggerezza. Alla terza traccia capiamo quanto, ogni volta che droni, melodie sintetizzate o batterie elettroniche entrano a contatto con questo progetto, la band trovi uno spazio infinito per sperimentare, trovando in questo caso spazio per sax e archi.

Inizialmente pensato nel 2013, dopo un incontro con Max Casacci dei SubsonicaSalveremo il Mondo ha visto la luce oggi, dopo più di dieci anni, come singolo di punta di Omissis. Tornano graffianti stratificazioni di chitarra, che fanno da vere protagoniste del brano. Con La perfezione di una lacrima, la band si concede atmosfere acustiche, anche se per solo una manciata di secondi. La Title-track strizza l’occhio al pop e all’indie italiano. Omissis è un brano caldo, dove questa sono gli arpeggi di chitarra acustica ad uscirne protagonisti, prima di tornare alle sonorità che rendono questo album davvero interessante. Sto parlando Andrearitmia, dove noise e shoegaze danzano sotto le rauche voci di Indolfo.

Flauti e corde di nylon portano il disco alla chiusura, in una traccia messa insolitamente alla fine del disco. Intro viene sporcata da sonorità folk, a tratti quasi orientali, insinuandosi direttamente sull’outro di Omissis. Mello Mello è un’altra delle canzoni più longeve di questo progetto. Rilasciata inizialmente nel 2014, con il nome di Sleeping Lotus, dall’artista taiwanese Waa Wei Ruxuan, il brano trova una nuova energia sul finale dell’album.

/ 5
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Un viaggio nella penombra di Cellophane Memories

  • Chrystabell & David Lynch – Cellophane Memories
  • 2 agosto 2024
  • ℗ Sacred Bones

“Chiunque, persino un deficiente, può prendere una canzone e ficcarla in un film. Per me la cosa si fa interessante quando il pezzo non se ne sta solamente lì appiccicato. Deve possedere degli ingredienti che siano davvero adatti a far parte della trama”.

Questa dichiarazione di David Lynch mette subito in chiaro cosa ha sempre fatto il maestro del noir durante la sua carriera. La musica non è quindi un elemento a sostegno o a supporto, ma è un personaggio fondamentale che partecipa alla storia. Non a caso il terzo capitolo di Twin Peaks (2017) ribadisce questa filosofia,  oltre a riproporre nelle scene molti musicisti, tra cui Eddie Vedder e i Nine Inch Nails (in passato anche David Bowie).
Forte di questa convinzione ancora oggi, l’artista ha rilasciato Cellophane Memories in collaborazione con la sua musa Chrystabell (anche lei nell’ultimo Twin Peaks).

Arrivati al terzo lavoro insieme, il duo ha consolidato gli esperimenti sonori di This Train e Somewhere in the Nowhere, firmando dieci tracce ispirate da una “passeggiata notturna attraverso una foresta di alberi alti”.

Cellophane Memories

Il regista è solito andare oltre il superficiale per immergersi nei meandri oscuri del visibile e dell’invisibile, cercando con tutte le forme artistiche che padroneggia (ricordiamo che, oltre ad essere regista, è sceneggiatore, attore, musicista e pittore) un barlume che dia senso alla battaglia tra luce e oscurità.
L’opera è uniforme, concettuale, suddivisa in formato canzone ma amalgamata da una trama sonora da soundtrack in cui la voce di Crystabell si scioglie calda e sensuale, riflettendosi nel panorama onirico raccontato dai sintetizzatori.
Sullo sfondo di questo panorama ci sono sempre una figura maschile ed una femminile, come si intuisce nel primo episodio. Ed è proprio in She Knew che il cantato sembra subito scivolare morbido sulle note.

Da questo momento in poi converrebbe ascoltare l’album senza nessuna distrazione, per entrare nell’immaginario proposto dai musicisti.
Le voci della cantante si rincorrono ma senza fretta, i suoni sono dilatati, così come lo spazio e il tempo. Il risultato è un’ambientazione in cui perdersi e, a tal proposito, Crystabell ha dichiarato di immaginarsi “molte porte lasciate aperte per meravigliarsi, vagare e sentirsi sconvolti”.
In So Much Love, ad esempio, ci si rispecchia alla perfezione con la visione di Lynch. I sussurri e le note incantate di Crystabell si annodano alle tastiere. È tutto così intenso che sembra di essere ovunque e da nessuna parte.
A livello compositivo si distingue leggermente The Answers To The Questions, che in realtà ricorda i passaggi blues-western del Lynch solista.

E se con With Small Animals si ha la sensazione di trovarsi all’interno dell’universo musicale di Blade Runner, in Reflections In A Blade c’è la descrizione in musica e parole di un incubo, un cortometraggio dell’inconscio riproposto in formato soundtrack.
Una carezza noir carica di paura e di sollievo al momento del risveglio.

Nel video di presentazione della ending track Sublime Eternal Love, il regista cerca di catturare la teatralità della cantante triplicando la sua immagine ed esaltando il suo magnetismo.
Che sia un sogno, un incubo, una visione crepuscolare o notturna, a 78 anni David Lynch dà prova in Cellophane Memories, ancora una volta, di riuscire a creare storie in cui ci si può immergere totalmente. Storie in cui perdersi e ritrovarsi, ascoltando il buio e cercando la luce, consolandosi nella penombra.


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Mezzosangue: la recensione di “Musica Cicatrene”

  • Musica Cicatrene – Mezzosangue
  • 19 Luglio 2024
  • Sony Music Entertainment

Uno sguardo al passato con gli occhi futuri. Da un’idea, un progetto, un mixtape nato dodici anni fa, ad un album, il quarto di una già brillante carriera. L’atmosfera è la stessa, la maturità è diversa. I suoni, nonostante la volontà di rimanere fedeli all’originale, si sono evoluti in un nuovo riarrangiamento degno del Mezzosangue che apprezziamo oggi. Per chi lo conosceva dai suoi esordi sicuramente queste tracce non saranno una novità, per chi invece l’ha scoperto da poco o lo ascolta per la prima volta di certo comprenderà come tali parole, seppure vecchie più di una decade, sono tremendamente contemporanee. Ciò che cambia è la profondità data dalle nuove sonorità, con l’aiuto di DJ Shocca e il featuring di Gaia.

L’uscita di questo “ritorno al passato” è stata anticipata dalla riedizione del singolo “Capitan Presente”. Il testo è sempre lo stesso, quanto mai attuale, ma la musica è più intima, quasi in contrasto con la violenza delle parole, il tutto anticipato dall’ormai noto discorso fatto per il rap contest “Capitan Futuro”, dove tutto ha avuto inizio.

I pezzi non sono stati stravolti, ma aggiustati, rivisti e resi più moderni, a partire dall’intro, leggermente più lungo del precedente, con dei piccoli dettagli musicali che esaltano al meglio le parole. Ma è con “Esistenzialismo” che si evidenzia ancora di più questo cambio di passo: la base è completamente diversa, più moderna e strutturata, ed esalta al massimo le varie fasi del pezzo, anche durante gli intermezzi del discorso tratto dal film Matrix. Nessuna rivoluzione, ma un restyling ad hoc di un pezzo che già era storia.

Più “tradizionale” invece l’ottima “Still Proud”, ma anche qui i dettagli fanno la differenza, con l’intervento di DJ Shocca, che concede piccoli tocchi di dubstep ad una base già funzionante di suo. Una canzone che assume un carattere diverso, più forte e memorabile della precedente versione. Altro esame ampiamente superato.

Nel caso di “Soldierz” viene stravolta anche la durata, quasi dimezzata, togliendo una buona parte della coda finale ed aumentando leggermente i bpm. Ennesima prova di maturità del rapper romano. Con “Piano A” si arriva alla vera hit dell’album. In questo caso il pezzo funzionava molto bene già dodici anni fa e ha solo tratto beneficio dalle piccole rifiniture aggiunte nella traccia. Parafrasando il brano, a Mezzosangue non serve mai un piano B.

L’impatto della “vecchia” versione di “Mezzosangue” era sicuramente più forte e diretto, mentre all’interno dell’album l’irruenza, seppur mantenuta nel testo e nella voce, è stata attenuata a beneficio di una maggiore attenzione alla sonorità. Questo è forse l’unico pezzo in cui la prima versione, se non migliore, è al pari del suo re-edit.

Nevermind” ha mantenuto il suo sapore iniziale, dolce e amaro, come è giusto che sia. Un pezzo violento e poetico al contempo, collocabile in qualsiasi epoca senza sfigurare mai.

A poco meno di undici minuti dalla fine di questo “viaggio nel tempo” si arriva al vero capolavoro: “Secondo Medioevo” è un diretto in faccia, senza preavviso, dove si contrappone una voce urlata ad una musica più lieve e quasi orchestrale. Il balzo in avanti qui è clamoroso e la nuova produzione la rende perfetta, dall’inizio alla fine.

Quello che potrebbe essere definito una sorta di intermezzo per via della sua durata, risulta molto diverso nelle due versioni: più in linea col resto del mixtape prima, una piccola perla nella nuova opera. Meglio la prima “Shylock” o l’attuale? Ai posteri l’ardua sentenza, si parla semplicemente di gusti soggettivi.

L’intimità raggiunta nella penultima traccia di questo nuovo album toglie tutti i dubbi su quale sia la migliore versione: “Musica Cicatrene” viene esaltata da una produzione di mirabile fattura, che la rende quasi cinematografica.

Al posto di “Incazzato Nero (outro)”, dove veniva lasciato spazio ad un monologo favoloso tratto da Quinto Potere, Mezzosangue ha preferito un saluto più romantico e ottimista, con l’ausilio della splendida voce di Gaia. L’irruenza dei vent’anni viene sostituita dalla maggiore saggezza dei trenta e “Piove Musica” è un degno ringraziamento a quello che salva tutti i musicisti, nonché il giusto finale di un’opera più completa e importante della precedente.

È anche la sua versione live, che ho potuto apprezzare al Superaurora Festival a Roma, non ha deluso le aspettative. Immerso nel suo pubblico, Mezzosangue ha dato il meglio di sé, come sempre.

mezzosangue

Chi conosce Mezzosangue sa che il suo percorso ha avuto un’evoluzione costante, ma l’occhio al passato ci ha fatto riscoprire un incipit che veramente pochi possono vantare. In attesa dei prossimi inediti, ci godiamo questi nuovi ricordi.

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Ramco: La recensione di Pròto

  • Ramco – Pròto
  • 20 luglio 2024
  • ℗eRRe 

Ramco è il titolo del progetto “solista” di Marco Franceschelli. Inizialmente partito come chitarrista dei Fronte della Spirale (2016), con cui ha pubblicato un disco nel 2019, e come membro di punta dei Blind Ride, progetto a cui ha dato anche la voce, il musicista di Campobasso ha virato verso sonorità completamente diverse, quando nel corso del 2023 ha dato vita al suo progetto da solista. 

L’idea dietro Ramco è sempre stata quella di sviluppare un’entità, più che un artista, che potesse abbracciare non solo l’espressione musicale di Franceschelli, ma anche quella di tutte le personalità artistiche che hanno orbitato attorno al progetto (e ce ne sono diverse) durante la sua stesura. Registrato inizialmente con un’ottica DIY, il progetto, che più avanti diventerà Pròto, inizia a svilupparsi maggiormente con la partecipazione di Domenico Simonelli, che contribuirà a creare un connubio perfetto tra acustica ed elettronica con l’aggiunta delle sezioni di Drum Machines. I brani subiscono mutazioni per svariato tempo, fino a quando, nel dicembre dello scorso anno, con l’ingresso di Fulvio Gramegna (basso), inizia il processo di produzione vero e proprio. Le registrazioni vere e proprie di Pròto cominciano in realtà durante febbraio 2024 a Bologna, presso “Lo studio Spaziale”, sotto la supervisione di Roberto Rettura. 

Pròto

Il disco si apre con Right the Other Side. La prima cosa che emerge durante l’apertura è che ogni ritmica repentina, ogni distorsione massiccia e in generale i più canonici tratti punk dei precedenti progetti di Franceschelli qui vengono ridotti all’osso, per far spazio a riverberi, sintetizzatori e suoni ambientali. My Names is Nothing è la prima traccia di Pròto ad aver visto la luce del sole lo scorso aprile. È un brano più dolce rispetto al suo precedente in cui le strutture di chitarra, profondamente ispirate ad un indie-rock di matrice britannica di primi anni ’90, fanno da protagoniste.

Il pesante pattern ritmico di Your Life apre ad un arrangiamento cupo e minimale, che avvolge le traballanti linee vocali di Marco. Ego’s Lie è caotica. Le voci si consumano lungo gli strumming squillanti di chitarra, per poi perdersi negli ampi riverberi del brano. L’EP si chiude con The Last Hope, brano che in qualche modo torna al punk del primo periodo, pur con una connotazione sonora completamente diversa. 


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Meshell Ndegeocello: la recensione di No More Water: The Gospel Of James Baldwin

  • Meshell Ndegeocello – No More Water: The Gospel Of James Baldwin
  • 2 agosto 2024
  • ℗ Blue Note

Una nota introduttiva per i musicisti in cerca d’ispirazione e per chi va sempre a caccia di nuova musica: Meshell Ndegeocello rappresenta uno di quei casi in cui evoluzione graduale, sperimentazione costante e personalità sono in perfetta armonia, per cui vale davvero la pena approfondire la sua discografia.

Mossi i primi passi negli anni ‘90, ha esplorato diversi generi legati alla black music con una voce calda e vellutata, sfruttando il suo polistrumentismo e rimanendo affezionata al groove ritmico del basso. 

Trent’anni dopo l’alternative hip hop di Plantation Lullabies (1993), l’anno scorso ha pubblicato l’immenso The Omnichord Real Book (2023), vincendo il Grammy Award 2024 nella categoria Best Alternative Jazz Album. 
Dopo un traguardo così importante l’artista ha deciso di superarsi, ancora, componendo un manifesto universale più che un album.

No More Water: The Gospel Of James Baldwin è stato pubblicato in occasione del centenario dalla nascita di James Baldwin, scrittore, poeta e attivista politico, un simbolo della protesta afroamericana del suo tempo.
Ndegeocello aveva iniziato a lavorare a questo concept da un po’ di anni, ritrovandosi perfettamente in linea con l’ideologia e le parole dello scrittore che ha deciso di omaggiare.
Per farlo ha messo su una squadra ben collaudata, co-producendo insieme a Chris Bruce (chitarrista) e allineando la sua voce a quelle della coppia Justin Hicks-Kenita Miller Hicks. Altre preziose collaborazioni riguardano la poetessa Staceyann Chin e lo scrittore Hilton Als, che hanno recitato con passione molti testi estratti dalle pagine di Baldwin (metà delle lyrics presenti).

Meshell Ndegeocello

Ecco perché è un manifesto più che un album. Si può considerare infatti un concept poetry album, la cui musica è al servizio di un esperimento discografico che mette insieme letteratura, poesia, preghiera e protesta.
Chiaramente anche a livello sonoro la polistrumentista si è spinta oltre, dipingendo per i 17 episodi che compongono No More Water (ognuno dei quali meriterebbe un’analisi approfondita a sé) il quadro armonico perfetto, attingendo da una tavolozza di colori che va dall’ afro-beat all’alternative-jazz contemporaneo.
Potremmo definire il disco anche come un rituale gospel, questo ci aiuta ad individuare le coordinate di un percorso spirituale alla ricerca di valori universali. 

Nel particolare, invece, emerge risonante la lotta contro il razzismo, le differenze di genere, la violenza e il bigottismo, soprattutto nei versi recitati.
A caratterizzare i brani ci sono scelte compositive che pescano dall’avanguardia black and white degli ultimi sessant’anni. Solo per fare qualche esempio: ritmi afrobeat, tastiere alla Robert Wyatt/Brian Eno, sottofondi alla Miles Davis/Nina Simone, rimandi ai King Crimson di “Discipline”, echi radiohediani, alt-jazz, psichedelia e parentesi soul/pop sofisticate. Il tutto sotto la firma inconfondibile e personale della cantante, che oggi ha raggiunto una maturità tale da poter essere annoverata tra le voci più innovative e libere della black music.

Non a caso “Meshell Ndegeocello” (nome d’arte) significa “libero come un uccello”. 

È difficile scegliere o isolare i momenti migliori quando ci si trova davanti ad un’opera del genere. Ad ogni modo si può segnalare l’interpretazione da brividi in What Did I Do, così come l’ evocativa Eyes.
Guardando la recente esibizione al Tiny Desk, ad esempio, si possono ascoltare intrecci vocali travolgenti in Love e in Thus Sayeth The Lorde.
Come non apprezzare poi la capacità in Down At The Cross (traccia conclusiva) di creare una tensione drammatica coinvolgente per trattare uno dei tanti temi delicati del disco, il suicidio, che James Baldwin considerava come un’alternativa oggettiva alle persecuzioni dovute alla discriminazione razziale.

Per non parlare degli interventi poetici, a volte strutturati come monologhi, altre volte immaginati come protagonisti principali con sottofondo di tastiere ipnotiche o frammenti psichedelici. Si possono ascoltare anche come incipit all’evoluzione di un brano. 

In sostanza, ogni parola vibra e risuona potente grazie alla performance poetica, mentre ogni nota sonorizza puntuale tutti i sentimenti che si volevano trasmettere. 

No More Water è complesso ma immediato, eclettico ed universale, un testamento musicale e concettuale, probabilmente tra i più riusciti di tutto decennio. 


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Shellac: la recensione di “To All Trains”

  • To All Trains – Shellac
  • 17 Maggio 2024
  • Touch and Go Records

Nemmeno il tempo di gioire dell’imminente uscita del sesto album in studio degli Shellac, a ben dieci anni dal precedente “Dude Incredible”, che arriva la notizia sconvolgente: a pochi mesi dai sessantadue anni ci lascia uno dei personaggi più iconici ed influenti dell’alternative moderno, il cantante, chitarrista, produttore musicale, ingegnere del suono, critico musicale, e chi più ne ha più ne metta, Steve Albini. Una leggenda, senza se e senza ma, che ha prodotto artisti quali Nirvana, Pixies, PJ Harvey, Slint, solo per citarne alcuni, ed ha rivoluzionato il rock alternativo americano. Questo maggio trasporta quindi i fan in un mix di eccitazione e malinconia, così come l’ascolto di questo attesissimo “To All Trains”.

Cinico, sprezzante, estremamente provocatorio, Albini era solito evitare interviste e, qualora si riuscisse ad “intercettarlo”, dava il via a commenti che oggi sarebbero impossibili da pubblicare in un mondo così politicamente corretto ed incline alla nuova cultura woke. Persona controversa, ma coerente in un comportamento poco edificante: infatti negli anni non ha risparmiato insulti nemmeno a band alle quali ha contribuito al successo (definì i Pixiesquattro vacche così ansiose di farsi guidare con l’anello al naso”).

Ma veniamo al musicista e cerchiamo di sintetizzarne gli ingredienti: la base è senza dubbio punk, il noise è il filo conduttore, un pizzico di post rock, il tutto condito con una spezia esclusiva, soprattutto nel ’94, anno di esordio degli Shellac con “At Action Park”, ovvero il math rock. I testi, brevi ma molto diretti e pungenti, hanno però un comune denominatore con la musica di Albini e soci, ovvero la sinteticità e il minimalismo. Il mix è tra rumore e algebra, scevro da ogni particolare effettistica, allo stato grezzo.

To All Trains

Per analizzare l’album è bene basarsi su quanto sosteneva la mente che ne stava dietro: “la terza traccia dovrebbe essere quella che ti sconvolge. La uno deve dire alla gente, ehi siamo qui, e puoi tirare a vuoto nella due, ma la tre deve tirare via la vernice dalle pareti”.

Albini è un uomo di parola e “WSOD” chiama l’ascoltatore che, senza ombra di dubbio, sa di trovarsi di fronte alla band di Chicago. L’incipit se lo ritaglia la “ferrosa” chitarra, con il sound, unico nel suo genere, generato da plettri in rame e manico in alluminio. Si prosegue con la percussività del riff, inconfondibile con altre band, e gli altri strumenti che entrano progressivamente, quasi a colorare l’ossessivo giro di chitarra che rimane immutato fino ad un minuto dalla fine, dove viene sostituito dallo spoken word più minimale che ci sia. “Aspiro al bronzo, ma mi accontento del piombo, spacciato per oro, per il commercio turistico, assegnato dopo i test. Urina, sangue e capelli. Quei tre sono sempre un tutt’uno. Date a quell’uomo una medaglia, date a quell’uomo una medaglia”, niente di più, eccezion fatta per l’esplosione degli ultimi venti secondi. Iniziamo bene.

La seconda traccia segue la falsariga della prima, ma qui viene evidenziata maggiormente la struttura matematica del brano. Gli strumenti e la voce si incastrano in modo tale da creare una sequenza perfetta, a tratti ipnotica, soprattutto in chiusura. Nella teoria albiniana si può “tirare a vuoto” nel secondo pezzo, ma di fronte ad un tale livello sonoro ci permettiamo di dissentire.

Ed eccoci di fronte alla “sverniciatura delle pareti”: il pogo è d’obbligo con “Chick New Wave”. Poco meno di due minuti e mezzo di schitarrate, urla, intermezzi timbrici e botte in faccia. Non è il loro manifesto, ma sicuramente quello in cui maggiormente è emersa l’anima punk.

What’s the panic with you?” apre l’algebrica “Tattoos”. Qui torniamo in pieno stile shellachiano, dove gli strumenti dialogano fra loro e la voce entra in punta di piedi, quasi a non voler disturbare troppo il discorso musicale. Altro capolavoro di una band inestimabile.

Wednesday” viene introdotta da un ritmo tribale: i tom percossi da Todd Trainer accompagnano l’ascoltatore all’interno delle profondità più cupe dell’album. Si sfiora il doom e la voce, nelle rare apparizioni, grava ancora di più il tema. Si fa strada maggiormente nel finale, dove prende il sopravvento e racconta una storia macabra, degna dell’accompagnamento musicale. Cos’altro aggiungere?

La vetta più alta di questa opera immensa arriva in sesta posizione, con “Scrappers”. Il sunto della band può essere sintetizzato in questi due minuti e venti secondi: l’esaltazione matematica del punk in chiave punk, con l’alternanza tra cantato e parlato, in un unico grido “we’ll be pirates!”.

Il premio per il miglior testo lo vince a mani basse la canzone più breve di tutte: “Days Are Dogs” sembra una poesia, un testamento spirituale recitato magistralmente da quello che è al tempo stesso autore e fruitore. “Sono l’ultimo giorno della tua vita, vissuto oltre ogni aspettativa”, un monito che dovrebbe ronzare sempre nelle teste di tutti.

Dallo spoken word precedente si passa al primo ed unico pezzo interamente cantato. Una sorta di marcetta perdura fino all’ultimo minuto, dove tutti gli strumenti cambiano rotta. Nell’immensità del decalogo di “To All Trains”, “How I Wrote How I Wrote Elastic Man (Cock & Bull)” risulta forse il più “normale”.

Prima di chiudere, Albini e soci hanno deciso di rendere omaggio al musicista e ingegnere del suono Rob Warmowski, morto nel 2019 all’età di 52 anni. Il titolo, “Scabby The Rat”, che prende il nome dal roditore gonfiabile usato dagli attivisti sindacali, era anche l’account twitter pro labor creato dallo stesso musicista. Emblematiche le parole di affetto rivolte dal cantante della band: “La scena musicale è come una famiglia, e Rob era sempre lo zio socievole che conosceva i nomi di tutti i cugini e faceva le presentazioni e iniziava le conversazioni in modo che tutti si sentissero a casa. La maggior parte delle persone che conosco nel mondo della musica ha avuto con Rob almeno un rapporto di sfuggita. E tutti loro lo hanno apprezzato.”

Non poteva esserci finale migliore. “I Don’t Fear Hell” è il saluto più puro che Albini potesse rivolgere al suo pubblico. È tutto giusto, dalla musica funerea e rarefatta, algebrica e rumorosa, al testo che sembra essere un addio, ma sempre in pieno stile Shellac. I sentimenti sono contrastanti: così, tra una lacrima e una risata, ci apprestiamo a concludere questa perla.

Le parole non sarebbero mai abbastanza per ringraziare questo maestro alternativo della moralità. Ci limitiamo ad immaginare come lui stesso ha voluto descrivere il suo approdo nell’aldilà, perché d’altronde “se c’è un paradiso, spero che si stiano divertendo, perché se c’è l’inferno, conoscerò tutti”.

5,0 / 5
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Cigarettes After Sex: La recensione di “X’s”

  • Cigarettes After Sex – X’s
  • 12 Luglio
  • Partisan Records

Come suona la sensualità? 
Potremmo chiedere ai Cigarettes After Sex, autori di un dream pop minimale che negli ultimi dieci anni ha fatto sognare milioni di persone.
Anche se la musica cambia velocemente, la band texana non si scompone e rilascia X’s, riproponendo in dieci brani la formula sonora con cui hanno conquistato la fama mondiale prima sul web, poi sui palchi, trasudando sensualità e impulsi passionali contagiosi.
Il mix di influenze musicali, come dichiarato dagli stessi CAS, va dai Cocteau Twins a Morricone, fino ad arrivare ai Mazzy Star, riuscendo a trovare una voce personale.

X's

Viaggiando sempre su tonalità di bianco/grigio/nero, la voce androgina di Greg Gonzales sfuma il dolore e la malinconia raccontando in X’s un amore ormai finito. 
Il leader, tra l’altro, ha voluto registrare nello stesso appartamento in cui viveva con la sua ex, forse per terapia d’urto o magari per orchestrare le emozioni, assorbendo l’atmosfera delle stanze in cui quell’amore si è manifestato nel quotidiano, per poi affievolirsi.
C’è molto contrasto, perché il dramma è alleggerito dalle strutture melodiche. Per cui si riesce, ancora una volta, ad essere “megafono emozionale” che vibra nel cuore sognante/dolorante degli ascoltatori.
Per fare tutto questo, però, rimangono fin troppo fedeli a sé stessi. Gonzales ne è consapevole perché le sue canzoni, come ha dichiarato, non devono essere chissà quanto ricamate, basta il minimo e indispensabile per creare l’atmosfera giusta.
Certo, la tentazione di affermare che i brani sono tutti uguali sin dal primo disco è molto forte, ma cerchiamo di trovare qualche traccia di novità.

Innanzi tutto si ha l’impressione che, nel complesso, l’andamento slow-tempo abbia ceduto il passo al mid-tempo. 
Poi c’è l’interpretazione del cantante, che sicuramente non si discosta dal suo stile, ma nasconde una leggera tendenza a sussurrare con meno intensità.
Fondendo queste due considerazioni l’album suona più pop che dreamy, ma in realtà per il cantante “il disco sembra brutale”, sempre perché al centro di tutto c’è una separazione dolorosa da cui non riesce a prendere le distanze con indifferenza.
Ma per chi fatica a metabolizzare il contrasto tematiche/sonorità, si consiglia di ascoltare Hideway, diversa dal resto per giro di accordi, scenario simbolico e carica emotiva. Minimale, slow-tempo e vagamente dark, è l’intimo “nascondiglio” di due innamorati (“Now the sun’s out/ we’re feeling its sweet light/Waves are crashing/ they’re flying those long kites”), una coccola dolceamara da mettere in sottofondo stringendosi tra il cuscino e le lenzuola.
Anche Baby Blue Movie, nostalgica e dark-dreamy, rompe leggermente lo schema di composizione classico dei texani. Qui Gonzales riflette sull’importanza di riconoscere il valore dell’amore vissuto nel momento presente, distaccandosi dall’idealizzazione e dall’approccio da favola.

Tutto il resto, a livello musicale, rimane appunto molto fedele a quanto già ascoltato in Cigarettes After Sexed in Cry. Ed effettivamente è difficile allontanarsi da una formula sonora che funziona così bene. Si possono fare diverse ipotesi su “come avrebbe suonato quest’album se…” ma alla fine, ad oggi, Gonzales ha un disco in più con cui può superare le sue vicende amorose. Noi altri ci accontentiamo di un’altra manciata di canzoni ben fatte e che in un modo o nell’altro vanno in coda alla “playlist d’atmosfera” da tenere pronta in tutte le situazioni in tonalità bianco/grigio/nero.


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/ 5
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Scream From New York, NY: recensione del disco di debutto dei Been Stellar

  • Been Stellar – Scream From New York, NY
  • 14 giugno 2024
  • ℗ Dirty Hit

I Been Stellar sono una band emergente che ha rapidamente catturato l’attenzione della scena musicale grazie al loro rock viscerale e incisivo. Originari di diverse parti degli Stati Uniti, i membri si sono riuniti a New York, ispirati da leggende come i Velvet Underground e i The Strokes.

Il loro nuovo album, Scream from New York, NY, uscito il 21 giugno 2024, è una rappresentazione efficace del caos e dell’energia della città. Prodotto da Dan Carey, noto per il suo lavoro con band come Squid e Fontaines D.C., l’album è un’esplorazione sonora delle esperienze urbane. Il loro sound mescola influenze grunge, post-punk e rock, richiamando i Radiohead. È caratterizzato da chitarre graffianti, ritmi martellanti e testi che riflettono la cruda realtà della vita nella metropoli. La band riesce a trasmettere una sensazione di immediata vicinanza, con brani che oscillano tra l’angoscia e la speranza, offrendo una prospettiva unica e autentica di New York City.

Scream From New York

L’album si apre con Start Again, un brano veloce che imposta il tono con la sua energia frenetica e il testo ricco di suggestioni. La voce distintiva di Sam Slocum, piena di urgenza, funge da narratore. La produzione, caratterizzata da chitarre aggressive e percussioni martellanti, trasmette, insieme al testo, il desiderio di un nuovo inizio. Frasi come “New York wasted, start again” ripetute evocano perfettamente il bisogno di rinnovamento.

Seguendo l’apertura, Passing Judgement ha ritornelli orecchiabili e un suono dinamico. Le chitarre di Skylar Knapp e Nando Dale brillano in questo brano, dimostrando la capacità della band di creare canzoni che risuonano profondamente con il pubblico. Il testo esplora temi di critica sociale e auto-riflessione, specialmente il tema del giudizio.

“Pumpkin” offre un’atmosfera più lenta e psichedelica, con linee di chitarra distorte e arrangiamenti sognanti che mostrano la versatilità del gruppo. La canzone parla di un amore descritto come “killing time”; dai testi emergono le attività quotidiane e il tumulto emotivo di una relazione che sembra destinata a fallire oppure a continuare in eterno per inerzia.

Un’altra traccia di spicco, Can’t Look Away, costruisce una tensione intensa grazie alla batteria di Laila Wayans e riflette l’angoscia della vita a New York. I suoni utilizzati, che spaziano da riff di chitarra taglienti a basi ritmiche incalzanti, creano un paesaggio sonoro che evoca la frenesia della città. Il testo affronta l’incapacità di distogliere lo sguardo dalle dure realtà della vita nella Grande Mela, con frasi come “if there was a reason we lost it for good, buried on Broadway it’s under now, misunderstood”, che portano alla luce l’evidente contrasto tra il mondo degli artisti di successo e le difficoltà delle persone comuni con l’appello finale “we can’t look away.”

Verso la fine dell’album, Takedown offre un momento di riflessione con il suo ritmo delicato e le linee di basso emotive di Nico Brunstein, che si combinano alla perfezione con la voce di Slocum. La produzione di questo brano mette in risalto l’uso di effetti riverberanti e texture sonore ricche, creando un’atmosfera intima e contemplativa. Il testo parla di vulnerabilità e lotta personale, incitando a non lasciare che il conformismo ci porti ad essere persone vuote e prive di emozioni: “You decide, know your worth and cut into the lime again.”

L’album si chiude con I Have the Answer, un brano che culmina in un climax potente, riassumendo il sound distintivo della band fatto di caos bello e strutturato. Gli arrangiamenti finali, con chitarre distorte e cori potenti, lasciano un’impressione duratura. Il testo esplora la ricerca di verità e significato in un mondo caotico, con frasi come “I have the answer, just for a little while.”

Ogni traccia del disco è un grido di ribellione e sopravvivenza, un viaggio attraverso i vicoli e i grattacieli di una città che non dorme mai. Con questo album, i Been Stellar consolidano la loro posizione nella scena musicale contemporanea, dimostrando di essere una forza creativa capace di catturare l’essenza di una delle città più iconiche del mondo. In sintesi, “Scream from New York, NY” è un ascolto imperdibile per chiunque voglia immergersi nel cuore pulsante di New York attraverso la lente sonora di una band giovane e promettente.

4,5 / 5
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Paix & Funk: Recensione dell’EP di debutto di Braoboy

Al secolo Emanuele Tosoni, l’autore/produttore si approccia alla musica per la prima volta a undici anni, da li in poi la musica diventa una costante nella sua crescita. Liceo musicale e poi conservatorio, viaggiano in parallelo con una grande passione per gli anni 70/80 e 90, che sono i veri protagonisti di Paix & Funk. A dirla tutta, questo non è realmente il primo progetto di Braoboy, almeno non in termini assoluti. Il musicista si butta nel settore musicale per la prima volta nel 2019, quando inizia a suonare come turnista in tutta Europa con diversi artisti e gruppi (Chiamamifaro, Elasi, Darn…). Nel 2020 inizia a esplorare l’attivtià da producer. Nel 2021 pubblica, sotto il nome di “Furamingo” il suo primo vero EP, un progetto lo-fi, e diversi remix Disco-Funk. Nello stesso anno inizia a pensare a quello che diventerà Paix & Funk.

Sotto l’ala dell’etichetta indipendente Nufabric Records (Anna Carol, Stramare, Vergine…), Braoboy ha potuto sperimentare e lavorare quanto più possibile il suono distintivo di questo EP, nonostante complicazioni iniziali date da un modo diverso della concezione del fare musica. Se pur le influenze sonore ricordino situazioni felici e giocose (non è forse questo il cuore del Funky?), Paix & Funk esplora, in realta, dinamiche molto più complesse. Lungo poco più di un quarto d’ora, Braoboy si avventura in tematiche sociali, incomunicabilità e rapporti di dipendenza affettiva, trovando spazio anche per viaggi introspettivi.

Paix & Funk

Il disco si apre con massicci pattern percussivi e sintetizzatori stratificati in Villapizzone. La traccia trasuda atmosfere vintage. Non solo dal punto di vista dei suoni, ma anche dal paesaggio descritto nel testo, che pur facendo solo da sfondo, aiuta a comprendere meglio da cosa l’artista è stato influenzato durante la stesura di questo progetto. Masaniello crea un contrasto netto fra sonorità futuristiche, electro pop e solitudine, mentre su Mayday la sezione ritmica rallenta, la voce si perde nel riverbero e quello che si crea è un tappeto perfetto per un testo che analizza le dipendenze affettive. I deboli arpeggi di Rhodes guidano una delle tracce costruite meglio in questo EP. 

Mi prendo in giro usa calde linee melodiche di Synth mentre strizza l’occhio alla scena indie italiana attuale. Sulla traccia di chiusura Cosa Cerco da Te, il cantautore si sposta verso ambienti sonori sporchi e sintetizzatori acidi, alle prese con quella che sembra essere una relazione travagliata. 


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/ 5
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