- Arctic Monkeys – The Car
- 21 Ottobre 2022
- ℗ Domino Recording Co. Ltd.
Tesoro, è stato bello…
È tardo pomeriggio e, sul Sunset Boulevard di Los Angeles, un uomo passeggia. L’aria è tranquilla, i raggi del sole iniziano a farsi sempre meno caldi, mentre un frastuono si leva dai pressi del Roxy Theatre. Una folla urlante insegue quattro ragazzi con capelli laccati e i giubbotti in pelle. L’uomo si volta. Li fissa con un mezzo sorriso, mentre loro, non curanti di lui guardano agli schiamazzi con gli occhi scintillanti. Con lo sguardo di chi ce l’ha fatta.
Uno dei pregi più importanti degli Arctic Monkeys è sempre stato quello di saper evolversi in maniera incredibile, disco dopo disco. Ogni progetto ha seguito passo passo la loro crescita e maturazione personale. Dopo che “AM” li ha catapultati sui palchi più importanti di tutto il mondo, la band ha dato prova di quanto tentacolare fosse la sua visione di musica quando, nel 2018 ha eseguito una potente virata verso “Tranquility Base Hotel & Casino”. Le intriganti atmosfere “Kubrickiane” di un hotel dello spazio avevano creato l’abitazione perfetta per rinchiudere tutti i dubbi e le paure di un Turner intimo come mai era stato, almeno fino a quel momento. Se in quel disco iniziavamo a sentire dei richiami piuttosto forti al crooner, con spruzzi di Jazz e Soul qua e là, nel settimo lavoro, abbiamo capito che il cambiamento dei Monkeys non era solo una nuvola passeggera.
“The Car” trasuda teatralità da tutti i pori. Il disco si interseca nelle linee vocali labirintiche di Turner, aiutate da ampie orchestrazioni e synth vaporosi. Questo è quello che si può considerare a tutti gli effetti un progetto da solista per il frontman della band, che ne ha scritto tutti i testi e composto le melodie, tra Parigi e Los Angeles. Sebbene al primo ascolto possa risultare strano e scollegato, come per altri dischi dei Monkeys, più ci fai l’abitudine e più riesci a capire dove le canzoni si intrecciano fra di loro. Tra gli ambienti sfocati è l’astrattismo di “The Car” volteggiano nell’aria, storie d’amore, dubbi e desideri di un giovane non più così tanto giovane.
Per quanto, in un’intervista prima dell’uscita dell’album, Turner parlava di un ritorno a sonorità energiche, simil primi lavori della band, lungo le 10 tracce di The Car, non riusciremo mai a trovare qualcosa di simile. E non per forza è un male. The Car nasce da un periodo di riflessione, dopo il tour di “TBHC”. La band aveva preso una pausa per schiarire le idee e cercare di buttare giù nuovi progetti. Alla fine Alex ha prevalso. È riuscito a catturare l’essenza del momento che stava vivendo e l’ha rinchiusa nelle tracce. Il processo creativo è stato però più collaborativo. Insieme a James Ford, produttore di lunga data, la band si è ritrovata ai “La Frette Studios” di Parigi, dove sono riusciti a bilanciare cifre stilistiche vintage e suoni comunque innovativi.
L’album si apre con quella che è forse la traccia più importante. “There’d Better Be a Mirrorball” è nostalgica. L’arrangiamento orchestrale brilla sotto la voce di Turner a metà fra amara malinconia e profondità. Ogni suono è nel posto giusto al momento giusto. Quasi ci si scorda di quell’intervista di Alex. E forse quelle sonorità energiche cercate e ricercate, non sono più poi così importanti.
“I Aint’t Quite Where I Think I Am” affonda in un incrocio di Soul e Funk, dove le liriche introspettive e incerte, si assottigliano per dare spazio a groove vivaci, mentre “Sculptures of Anything Goes” ci scontriamo con cupe sperimentazioni elettroniche e testi ipnotici e criptici. In “Jet Skis on the Moat” torniamo a ambientazioni soffici. È tutto delicato, dai sussuri di Alex ai puliti suoni di chitarra. Desideri e rimpianti creano un dolce-amaro momento di riflessione, prima che la traccia defluisca nel secondo gioiello di questo disco.
“Body Paint” fa del dinamismo il suo punto forte. L’intensità vocale si defila man mano che gli arrangiamenti orchestrali crescono. Amore e inganno sono descritti in maniera impeccabile. Nella title-track le “scimmie” si spostano verso ambientazioni acustiche. Gli arpeggi di chitarra guidano un arrangiamento estremamente complesso. I rullanti intonano quella che sembra una marcia funebre. Tanto più la cupezza aumenta, tanto più le orchestrazioni crescono, mentre Turner rimane lì. Incastrato in un limbo di ricordi e momenti passati.
“Big Ideas” ha un sound più raffinato. Le influenze Jazz si fondono a un paesaggio sonoro cinematico, in cui la sezione di fiati si rivela la protagonista. Ci sono ambizioni e sogni, raccontati con una prospettiva tanto speranzosa quanto realistica. Qui però affiora un pensiero. Siamo forse ai titoli di coda? Quel film che erano gli Arctic Monkeys è finito? Poco importa in realtà, perché se questa è la loro uscita di scena (e spero vivamente che non lo sia), è il modo migliore per chiudere.
“Hello You” ci fa dimenticare questi “brutti pensieri” con sound più energici e ritmati. Qui Alex è diretto come mai lo era stato nelle precedenti 7 tracce. Dura poco, giusto il tempo di tornare ad una ballata dai tratti Beatlesiani. In “Mr Schwartz” la solitudine espressa nelle liriche sfiora un arrangiamento acustico dolce ed estremamente emotivo. Con “Perfect Sense”, traccia di chiusura, vengono riversate tutte le tematiche trattate in precedenza, su linee melodiche e orchestrazioni lamentose. E il disco si chiude.
È di nuovo tardo pomeriggio e, sul Sunset Boulevard di Los Angeles, l’uomo sorride ancora mentre fissa quei quattro ragazzi che sanno di avercela fatta. Ricorda quei momenti in cui era lui ad avere i capelli laccati e il giubbotto di pelle. Ricorda della prima volta in cui ha pensato di avercela fatta. Vorrebbe riassaporare quella magia, ma sa che non può. E forse va bene così. Quel mondo non ha più nulla da offrirgli, né lui ha più nulla da offrire a quel mondo. Mentre il sole scompare all’orizzonte, la città delle stelle torna a brillare. Solo che ora non brilla più per lui. Si volta, come se non volesse disturbare la gioia di quei ragazzi e torna a passeggiare. Questo è “The Car”.
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