Bon Iver

Tuesday Music Revival: For Emma, Forever Ago – Bon Iver

  • Bon Iver – For Emma, Forever Ago
  • 19 Febbraio 2008
  • ℗ Jagjaguwar

C’è qualcosa nella solitudine, che fa si che gli esseri umani si rifugino nelle loro menti, fino a dimenticare che esistono, ma è in questo habitat che possono essere completamente se stessi.

Vi siete mai chiesti qual è il suono di un uomo che viene lasciato solo in balia dei suoi ricordi? Justin Vernon, l’ha scoperto nel 2005, durante un gelido inverno in una baita del Wisconsin. Dopo che la band di Vernon si trasferì in North Carolina, i vari componenti iniziarono a interfacciarsi con nuove realtà. Questo portò ad uno scioglimento del gruppo. Le circostanze spinsero Vernon a tornare in Wisconsin, e in una baita, durante quattro mesi nevosi, iniziò la sua trasformazione in Bon Iver. 

La scelta della strumentazione, il modo in cui il disco viene registrato e i fraseggi vocali di Justin sono i veri tratti distintivi del disco. La scelta è ricaduta sulla coppia chitarra/voce. Nonostante poi in sessioni successive siano stati aggiunti altri strumenti, questo duo non è mai stato in alcun modo intaccato. Ciò che però è davvero importante in “For Emma, Forever Ago”, non sono le armonie vocali o le chitarre stratificate, o ancora la scelta di suonare strumenti leggermente scordati. Fino a quel momento, l’estrema semplicità compositiva della musica folk, aveva reso parecchio difficile la trasformazione dei suoni in immagini. Lungo l’ascolto di questo disco, invece, è una cosa quasi automatica. Ogni strum di chitarra, ogni falsetto, ogni accenno di corno è un pixel nell’immagine che Vernon trasmette.

Bon Iver's new album is an 'extension' of 'For Emma, Forever Ago'

Le prime sessioni di “Flume” avevano tirato fuori una traccia estremamente intima, composta dalla voce delicata di Vernon, dalla sua chitarra acustica e alcune linee melodiche di slider. Successivamente sonos tate aggiunte percussioni e droni. “Lump Sum” si apre con dei cori, ottenuti esclusivamente dalla sovrapposizione delle voci di Justin, mentre sulla cassa in quarti danzano perfettamente chitarre acustiche e ampi riverberi. 

“Skinny Love” incastra spunti country alla palette sonora folk. È una caduta emotiva fra perdite e cambiamenti. “La mattina sarò con te / Ma in un modo diverso / È terrò tutti i biglietti / e tu tutte le multe”. “The Wolves (Act I and II)” porta il fardello emotivo di “Skinny Love” su un altro livello. L’intimità di chitarra e armonie vocali esplode in un insieme di loop in reverse, ottoni e sezioni ritmiche scoordinate. Poi sembra trovare la pace in quell’intimità di voci e chitarra. 

Il suono ripetuto di “Blindsided” si ramifica in organi e suoni ambientali. La sezione di cori torna in “Creature Fear”. La traccia prende spunto da stili “Beatles” sulle melodie delle strofe, prima di spostare tutta l’emotività sugli strati vocali di Vernon.  I rullanti di Christy Smith ci traghettano fino a “Team”. Per la prima volta dall’inizio del disco, i toni acustici si convertono in sfarfallii di chitarre elettriche e intense linee melodiche di basso, che guidano il testo di Justin, composto solo da “Fa Fa Fa Fa” e fischi.

“For Emma” torna ad attingere dal country, mentre alla pedal steel si aggiungono sezioni di ottoni. “Ho visto la morte sulla neve soleggiata / Le mie ginocchia sono fredde”. Canta Vernon sopra assoli di sax e corni. Il disco si chiude con “Re:Stacks”, una ballad acustica. “Mi accovaccio come un corvo / Contrastando la neve” canta Vernon, mentre le sue voci si sdoppiano e vagano in ambienti pesantemente riverberati.

Voto: 9/10

Lonnie Holley: La recensione di “Oh Me Oh My”

  • Lonnie Holley – Oh Me Oh My
  • 10 Marzo 2023
  • ℗ Jagjaguwar

“Oh Me Oh My” è il titolo del nuovo disco dell’artista visivo e musicista Lonnie Holley. Registrato tra il Topanga Canyon e il The Garage, il sesto disco di Holley è una visione a tinte Jazz con sperimentazioni avanguardiste Pop/Rock. Nelle atmosfere del disco troviamo elementi folkloristici africani mescolati alla storia che ha guidato gran parte della vita dell’artista. La storia racconta di Mount Meigs, un carcere minorile per neri costruito in Alabama agli inizi del ‘900 e diventato famoso per gli abusi che venivano inflitti ai giovani afroamericani.  

Con l’aiuto del produttore Jacknife Lee, che ha prodotto progetti per U2, The Cars e R.E.M., e collaborazioni con musicisti eccezionali, tra cui Bon Iver, Sharon Van Etten e Rokia Koné, l’artista dell’Alabama mette in luce il suo passato di povertà, le sue esperienze a Mount Meigs, fra gli incubi del suo passato e l’abbandono della minoranza afroamericana dalle classi politiche dirigenti. 

“Testing”, traccia di apertura del disco, gioca con un pianoforte sporco e ricco di effetti e delle percussioni che ricordano i suoni di un acchiappasogni. Tra suoni lontani e lente melodie, la voce di Holley appare come un incrocio fra lamenti e cantiche di popoli pesi nel tempo. “I Am A Part Of The Wonder” è il primo featuring del disco. Le atmosfere jazz e funk creano lo spazio per i racconti introspettivi della musicista Moor Mother. Nella title track, in collaborazione con Michael Stripe, i due musicisti cantano delle lotte dei loro antenati. “Ho pensato a come la nonna fosse in ginocchio / A come la mamma non fosse in grado di alzarsi”. 

In “Earth Will Be There” torna Moor Mother, su una traccia questa volta più orchestrale, ma sviluppata su uno scheletro funk. 

“Mount Meigs” è il collante del disco, se vogliamo è il punto in cui tutto è iniziato. In questa canzone Holley cerca un filo conduttore tra il passato dei suoi antenati e quello che è capitato a lui. “Better Get That Crop In Soon” torna, sotto sottofondi di pioggia e sezioni ritmiche africane, alle storie delle piantagioni di cotone. “Kindless Will Follow Your Tears” è la canzone che stavamo aspettando di più. I suoni di harmonium e le stratificazioni vocali di Bon Iver creano un’atmosfera surreale alla ricerca della gentilezza. “None Of Us Have But A Little While” con Sharon Van Etten, ingloba vocalizzi e sfarfallii di sintetizzatore. 

“If We Get Lost They Will Find Us” porta sperimentazioni di world music, costituite da ritmiche africane e le voci di Rokia Koné, cantante originaria del Mali. “I Can’t Hush”, con Jeff Parker, inietta, attraverso l’utilizzo di sintetizzatori filtrati e chitarre slide, una sensazione di cupezza, mentre con la traccia finale, “Future Children”, Lonnie Holley si dimostra speranzoso nei confronti delle nuove generazioni. 

Voto: 7.5/10