- Chartreuse – Morning Ritual
- 10 Novembre 2023
- ℗ Communion Group Ltd
Nel titolo “Morning Ritual” captiamo un senso di rivalsa verso tante cose, ci sentiamo dentro l’orgoglio di aver finalmente trovato la propria strada – gli Chartreuse sono, effettivamente, in attività dal 2014, ma solo oggi arriva il loro primo full-length – osiamo palpare tutto lo sfogo – e il sollievo – del post pandemia; insomma, questo disco rivendica una routine riconquistata, con tutti i suoi problemi di sorta, la monotonia delle gestualità ripetute all’infinito, i dialoghi stereotipati con la società, le taglienti ferite dell’animo, i pensieri che svolazzano e impregnano gli occhi assorti.
Gli Chartreuse debuttano eviscerando le loro emozioni più genuine, le piazzano sullo spartito e ce le fanno toccare, provare per credere. D’altronde, dagli esordi in duo di Michael Wagstaff e Harriet Wilson, impegnati – ma non troppo – a proporci un folk dall’identità ancora latente, sono passati nove anni, impiegati a trovare la chiave o il grimaldello per scassinare quella dannata porta, ora varcata e parcheggiata alle spalle, grazie anche agli inserimenti nell’ensemble di Rory Wagstaff dietro alle pelli e di Perry Lovering ad animare basso e tastiere.
Tutto è completo. Location: la fumosa Birmingham. Eppure non troviamo refusi industrial o atmosfere soffocanti. Qui c’è armonia, eleganza, sottile malinconia. C’è pacatezza indie pop, sparsa come un effluvio dall’andante leggerezza di “All Seeing All The Time”, c’è pragmatico art-rock bass driven (“Backstroke”) richiamante i Radiohead post “Hail To The Thief” – “Switch It On, Switch It Off” fa il filo a “In Rainbows” – e anche quelli dello spartiacque Kid A/Amnesiac, spalmati sulle languide tessiture elettroniche di “Are You Looking For Something”.
Rimane quell’esigenza folk che perdura dagli esordi e che invigoriva la corporatura dei buoni EP, si sprigiona con grazia tra i rintocchi pianistici della title-track, o tra le acque meste di una “Agitated” che ci risveglia in testa la delicatezza di Damien Rice.
La duplice vocalità della Wilson e di Michael Wagstaff è di una complementarità naturale, toccante per quanto bella, e viene fuori dirompente tra le sentite plettrate di “Never To Be Real” e tra gli strozzati colpi di batteria che collegano “Whippet” alle armonie dell’art-rock.
Una dualità che, sul suolo italiano, ritroviamo nei romani Mòn, padroni anch’essi di una proposta musicale che tanto deve all’indie, ma anche – e soprattutto – al rock alternativo più studiato e minuzioso.
“Morning Ritual” tocca con una carezza e rimane con il marchio di uno schiaffo, un lavoro raffinato e gentile, figlio della visceralità dei sentimenti, quelli che pulsano durante la quotidianità e che sussistono strenuamente, a prescindere da tutto il resto, per farci continuare ad adorare ogni singolo particolare della vita.