Folktronica

Tapir!: la recensione di “The Pilgrim, Their God, and The King of My Decrepit Mountain”

  • The Pilgrim, Their God, and The King of My Decrepit Mountain – Tapir!
  • 26 gennaio 2024
  • Heavenly Records

È uscita a gennaio per Heavenly Records la prima fatica della formazione londinese Tapir!. The Pilgrim, Their God and the King of My Decrepit Mountain è un lavoro in tre atti. La storia del disco comincia nel 2022, con la pubblicazione dell’EP della prima sessione, “The Pilgrim”. Nel 2023 viene pubblicato “Their God”, e il trittico viene completato con l’inserimento dell’ultimo atto in questo LP.

Tapir! è un progetto dalla vocazione estremamente interdisciplinare, i cui interessi spaziano dalla musica alla cinematografia alle arti visive. È anche un progetto che trae tanta della sua forza dall’apertura alla collaborazione: la numerosa formazione è composta da Ike Gray (voce, chitarra), Ronnie Longfellow (basso), Emily Hubbard (cornetta, sintetizzatori), Tom Rogers-Coltman (chitarra), Will McCrossan (tastiere) e Wilfred Cartwright (batteria, violoncello), prodotti da Yuri Shibuichi e contaminati dalle esperienze live con altri artisti e artiste della scena folk inglese.

Tapir!

Il disco racconta del viaggio di The Pilgrim, un enigmatico personaggio rappresentato nei contenuti visuali della band attraverso una testa rossa in cartapesta dalle apparenze elefantine. A dare voce al personaggio è Ike Gray, che con il suo timbro lievemente nasale e stridulo caratterizza The Pilgrim come un piccolo protagonista che percorre un universo tanto più grande di lui.

Il sound proposto dai Tapir! è incredibilmente contemporaneo. L’impianto principale è fatto di strutture folk largamente influenzate dalla Scena di Canterbury degli anni ’60 e ’70, fatta di contaminazioni psichedeliche, jazz e progressive. Ci si ritrova la cura estetica degli Hatfield & The North, l’estro mistico di Daevid Allen, le atmosfere coloratissime e a tratti infantili dei T-Rex di “Unicorn” (The Nether). Questa eredità viene digerita e metabolizzata fino a incontrarsi con elementi ben più moderni, dalle percussioni jungle (“On a Grassy Knoll (We’ll Bow Together)”) a un’andatura ai limiti del post-rock (“Gymnopédie”, “Swallow”, “Broken Arc”).

La voce femminile di Hubbard, che interviene di tanto in tanto, eleva ulteriormente alcuni dei brani: è valorizzata al massimo in “Eidolon”, in cui le due voci sono accompagnate soltanto da una chitarra acustica, determinando un momento di incredibile sospensione nel corso del disco. In “Untitled”, le due voci si uniscono in una ballata indie e chamber-pop che riporta agli anni ’90 dei Belle&Sebastien.

The Pilgrim, Their God and The King of My Decrepit Mountain è molto più di quello che sembra. Si presenta come un album sognante, bucolico, di evasione da una realtà frenetica e iperconnessa. Allo stesso tempo però testi e musica sono estremamente radicati nella contemporaneità: il progetto dei Tapir si inserisce a pieno titolo in quella serie di lavori ispirati dall’hauntology (una condizione che si esprime artisticamente nella nostalgia per passati mai accaduti, letti come alternativa al presente e ad un futuro incerto), che convergono in queste atmosfere pastorali – un esempio recente è il bellissimo “Iechyd Da” di Bill Rider-Jones. Si tratta di una sensibilità che parla in modo molto diretto soprattutto alle nuove generazioni, ma che grazie al radicamento in generi musicali più datati riesce a risultare attrattivo anche per altri tipi di pubblico.

Con queste premesse, e considerata la vocazione della band per le esibizioni live, facciamo i nostri migliori auguri al progetto e aspettiamo con ansia una data in Italia.

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