Fontaines D.C.

Fontaines D.C.: La recensione di “Skinty Fia”

  • Fontaines D.C. – Skinty Fia
  • 22 Aprile 2022
  • ℗ Partisan Records

È oramai lontana la realtà pre-pandemica, in cui, con “Dogrel”, la band si accaniva con spietata schiettezza sulle immagini di una Dublino dai mille volti. La stessa Dublino che li ha fatti nascere, non solo artisticamente. Eppure, la parola “pre-pandemico”, che avrei preferito non utilizzare, è stata una manna dal cielo per il quintetto irlandese. Se non fosse stato per la pandemia, probabilmente le sorti del post-punk revival sarebbero state diverse, probabilmente la band non sarebbe andata a vivere insieme a Londra e, che ci crediate o meno, probabilmente non sarei qui a parlare di “Skinty Fia” con questo entusiasmo. Nel secondo disco, “A Hero’s Death”, Chatten e soci si erano spinti verso sonorità più sperimentali, insieme al contributo di Dan Carey. In “Skinty Fia”, uscito nell’aprile 2022, la band non molla il colpo. 

Come per “Dogrel”, l’ostinato attaccamento del gruppo verso la propria terra natia, parte dal titolo del disco. Tradotto letteralmente in “Sia dannato il cervo”, Skinty fia, altro non è che un’imprecazione in lingua irlandese, che funge in questo caso come valvola di sfogo verso un mondo ormai spaccato in due, che la band, Chatten in particolare, ha vissuto sulla sua pelle, dopo il trasferimento a Londra. Nasce così il disco, tra nostalgia di Dublino, etichette sociali, “guerre religiose” e, ovviamente Dan Carey che ne cura la produzione.

Sono delle accoppiate vincenti, che già nei precedenti due dischi avevano funzionato per la band, ma che qui sembrano trovare un ulteriore crescita narrativa/sonora, che contribuiscono a spingere il disco fuori dai canoni musicali fino a quel momento. Chatten appare più padrone della sua voce, e anche il comparto melodico di Coll, O’Connell, Curley e Deegan III, sembra sotto molti punti di vista aver trovato delle ambientazioni completamente loro, in equilibrio tra dolcezza e violenza. 

Skinty Fia

L’oscurità cala con “In ár gCroíthe go deo”, nonostante il titolo della canzone porti un messaggio tutt’altro che oscuro. La linea di basso, non lontana da quelle dei precursori del post-punk, si scontra con cupi vocalizzi, mentre le cantiche di Chatten, creano una connessione viscerale tra artista e ascoltatore, che polverizza i sei minuti di questa traccia. È l’unico punto in cui la band riesce a ipnotizzare in questa maniera. In “Big Shot”, scritta da O’Connell, i suoni si rifugiano in delicate sfaccettature dai tratti shoegaze, mentre la band porta avanti la sua evoluzione, che culminerà solo alla fine del disco.

“How Cold Is Love” appare più vicina ai precedenti lavori, mentre “Jackie Down The Line”, si prepara a puntare il piede sull’acceleratore. È brillante e al contempo cruda. È distruttiva, pervasa da tossicità e misantropia, eppure non invita mai a smettere di combattere. Un altro dei momenti in cui la band rimarca il suo attaccamento all’Irlanda. 

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“Bloomsday” è un altro dei grandi Banger di questo disco. Di gran lunga meno ritmato della traccia precedente, e più cupo, descrive un Chatten che lascia tutto ciò che, in qualche modo lo ha reso ciò che è, in un polverone di tristezza e noise rock, per un nuovo posto, in cui non si sente a casa. In “Roman Holiday”, la band si prende una pausa dalla tristezza.

Non la cancella del tutto, la mette solo da parte, e in certi momenti la tratta addirittura come ironia. “The Coupe Across The Way”, se vi aspettavate che i Fontaines, non si potessero mai trovare a cantare testi che suonano quasi come una filastrocca, mentre giocano con vecchi Accordion, in questo disco c’è anche quello. Esplorano le sfaccettature dell’amore, i momenti belli e quelli meno belli, visti da fuori, nei momenti di vita quotidiana di altri. È come guardare il mondo da fuori, consapevole che quello che ti è successo oggi a qualcuno potrà succedere domani, e viceversa.

La title-track è quella che si distacca di più dal resto del disco a tratti sembra di ascoltare i Massive Attack in botta da cocaina, a tratti sembrano tornare agli spunti iniziali. È sicuramente quella che sottolinea in maniera più profonda l’incredibile lavoro negli arrangiamenti e nella produzione di questo disco. E se parliamo di arrangiamenti, il banger numero tre casca a pennello. “I love you”, ennesima canzone sull’Irlanda? Si. Condita con un titolo che dire Clichè è farle un complimento? Si. Con un arrangiamento incredibilmente ordinario? Nemmeno per sogno. Strofe e ritornelli si scambiano, creando per le prime, una struttura melodica facilmente riconoscibile, mentre per i secondi dei momenti più scarni. “Nabokov” è delirante. Nella chiusura del disco, il noise rock prende il sopravvento creando una vorticosa sensazione di irrequietezza che sfuma verso la fine con il termine della traccia. 

Per i Fontaines questo disco è il “terremoto scaturito dal battito d’ali della farfalla”, un resoconto di come anche la più (apparentemente) insignificante delle scelte, possa sfociare in momenti assurdi, nel bene e nel male. Skinty Fia è un disco potente, costernato da crescita, difficoltà e maturità. E tal volta dal qualche briciolo di ironia.

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Speedy Wunderground: Come Dan Carey ha ridisegnato l’Underground britannico

Se hai ascoltato un progetto proveniente dalla scena alternative britannica degli ultimi anni, molto probabilmente tra i crediti è presente il nome di Dan Carey. L’insolito approccio creativo del produttore inglese, al timone della Speedy Wunderground, ha contribuito a creare il suono alternative che, dagli angusti scantinati di Brixton, è arrivato fino alle nomination per i più ambiti premi nell’industria discografica.

Prima della carriera da produttore, Carey costruisce la sua immagine durante il corso degli anni ’90, come chitarrista in una band. Da lì la sulla sua strada iniziano a crearsi una serie di relazioni che lo conducono fino ai giorni nostri. Un Dan poco più che ventenne viene preso sotto l’ala del produttore Nick Manassa, un volto noto nella scena londinese per esser stato uno dei pionieri nel Dub. Qui si affaccia alla musica elettronica e alla produzione. Nello studio di Manassa passa di tutto, dall’Hip-Hop alla techno. La salita alla ribalta dei produttori musicali verso la fine degli anni ’90, per mano di artisti come Moby, avvicina la Virgin Records a Dan Carey.

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Sebbene l’esperimento di Virgin non andò a buon fine, per Dan ebbe quasi solo risvolti positivi, perché questo è il momento in cui il produttore conosce due elementi chiave nella sua storia, uno e Sia, con cui registrano il primo successo: “Breath Me”. Quello con Sia è un sodalizio che continua a generare ottimo materiale tutt’oggi. Ma la conoscenza più importante è quella che avviene tra Dan e Emiliana Torrini. Anche lei ad inizio carriera. Da questo incontro nascono tre dischi. Anche qui la svolta più importante arriva quando Parlophone propone ai due di scrivere un pezzo per Kylie Minogue. Il risultato? Si chiama “Slow”. Un enorme successo, primo in classifica in cinque paesi tra cui il Regno Unito e biglietto da visita per entrare nel mondo della gente che conta.

La traccia di Kylie Minogue è una benedizione per il produttore, ma qualcuno sostiene che Dan fosse destinato ad essere questo. Per capire meglio la situazione occorre fare un passo indietro a circa tre anni prima, in una notte del 2000. Dan e il Dj Rob Da Bank si trovano con un demo piuttosto promettente per le mani, manca solo qualcuno che possa prestare la voce. La scelta ricade su una figura piuttosto importante, soprattutto per Carey. Quella di Lee Scratch Perry.

Prenotata una sessione in uno studio della Svizzera, i tre si trovano a registrare la traccia. Arrivato in studio Carey trova Perry intento a lavorare su del materiale. Non gli rivolge parola finché non è fuori dalla sua bolla creativa. Finito di portare avanti il materiale a cui sta lavorando si volta da Carey con gentilezza, e i due iniziano a lavorare. Registrano diverse versioni del pezzo, fino a tarda notte, finché non arrivano al risultato cercato. Finite le registrazioni i due parlano e Perry da la sua benedizione a Dan. Nessuno sa effettivamente cosa si sono detti.

Insieme al successo di Slow però iniziano ad arrivare i primi problemi. A Carey non importano le hit, i colletti bianchi, stare in una stanza con dieci persone addette a impacchettare un singolo da classifica. Lui vuole fare i dischi. Su suggerimento della Torrini, chiude con le grandi etichette e prende un’altra strada. Torna alle origini, imbraccia la chitarra e instaura un rapporto lavorativo con Joe Lean & The Jing Jang Jong. Ancora una volta l’intuito di Carey colpisce nel segno. Il produttore porta il krautrock alla ribalta e nel mentre trova il tempo per produrre il terzo disco dei Franz Ferdinand. Un ennesimo successo.

 Tutti questi progetti forniscono al produttore i fondi necessari per iniziare il progetto del suo studio. Parallelamente Dan inizia a creare tutta una serie di linee guida che, ancora oggi, sono alla base del processo creativo nella Speedy Wunderground. La prima di queste riguarda il rapporto fra produttore e artista. Non sono gli artisti a sceglierlo, come di solito succede, ma è lui che sceglie gli artisti. Questo perché dietro alla produzione del materiale targato Dan Carey, c’è un’attenta analisi sull’artista. Un artista deve avere qualcosa da dire, deve dare qualcosa alla musica, e non meno importante, deve essere in linea con le logiche del suo produttore.

Sono vincoli ferrei, ma fino a quel momento hanno funzionato, e Dan è deciso a seguire questa strada. Così oltre a quella da produttore, inizia a costruirsi un’immagine da Scout. Va a vedere le piccole band esibirsi negli angusti locali di Brixton, come il “Windmill”. Ascolta gli artisti suonare, analizza i loro movimenti, ricerca delle connessioni nelle loro canzoni. E quando le trova allora sceglie di produrre i loro lavori.

Nel 2011, su richiesta di Rob Da Bank, Carey produce il disco di debutto dei “Sound of Rum”, e qui il suo percorso cambia, ancora una volta, radicalmente. Cambia perché la frontwoman di quel gruppo è Kae Tempest, che in futuro sarà l’artista principale della Speedy Wunderground, e tutt’oggi uno degli artisti di punta dell’etichetta. Ma prima di arrivare a questo punto ci vorrà del tempo. Nel mentre Dan continua a macinare produzioni su produzioni, Miles Kane, Willy Mason e i Chairlift, il gruppo di Caroline Polachek.

All’inizio del 2013 Dan torna a collaborare con Emiliana Torrini, producendo il suo nuovo singolo, “I Go Out”. Questa traccia siglerà l’inizio di una nuova era, non solo per il produttore, ma per tutto l’underground britannico. Questo è il momento in cui quella realtà, che Carey ha creato passo dopo passo, produzione dopo produzione, artista dopo artista, da quella notte del 2000, prende forma completa. Il 25 febbraio 2013, esce “I Go Out”, do Emiliana Torrini e Steve Mason, e nasce la “Speedy Wunderground”.

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Ad aiutare Dan Carey in questo cammino ci sono Alexis Smith e Pierre Hall, che si occupano delle questioni amministrative, mentre Dan può fare quello che sa fare meglio: i dischi. Una cosa nella Speedy Wunderground si nota da subito, questa non è come tutte le altre etichette nell’industria discografica. Gli inglesi direbbero: “run-to-the-record-shop-quick”.  L’idea di Dan Carey non è quella di lavorare a un pezzo e poi tenerlo conservato per mesi prima della sua uscita. Lui vuole che il disco venga lavorato e poi, una volta ultimato (anche qui seguendo delle regole ferree), immediatamente pubblicato.

I prodotti che la Speedy Wunderground pubblicherà, per la maggior parte singoli da 7’’ e 10’’, verranno non pubblicati il più in fretta possibile, ma dovranno essere lavorati anche con assoluta spontaneità, seguendo una serie di linee guida:

  • Dan Carey produrrà e lavorerà a tutte le uscite, nel suo studio nel Sud di Londra;
  • La registrazione dei progetti dovrà essere eseguita in solamente un giorno, questo implica un lavoro a 360° sul progetto. Il mix dovrà essere eseguito il giorno dopo le registrazioni;
  • Non si faranno pause pranzo durante le registrazioni;
  • Le sovraincisioni dovranno essere ridotte al minimo;
  • Le registrazioni verranno eseguite in presa diretta.
  • Ogni anno la Speedy Wunderground pubblicherà una compilation contenente tutti i progetti registrati in quell’arco di tempo.

Nonostante possano sembrare regole piuttosto rigide, questo è il metodo che Carey ha adottato per far si che il materiale della Speedy non rimanga mesi su uno scaffale o dentro un Hard Disk a prendere polvere. Questo approccio non ha contribuito solo a eliminare le perdite di tempo e evitare ripensamenti e inutili modifiche al progetto. In un’industria discografica che si forgia principalmente on-line, Carey rimane uno dei pochi ad adottare un approccio creativo d’altri tempi. Tutto il materiale, non viene registrato solo in presa diretta, ma in maniera completamente analogica e su nastro. Il materiale viene poi convertito in digitale per la post-produzione. Se nel materiale risultano errori grossi viene eliminato, e si comincia da capo. Questo modo di operare fa si che la band o l’artista si presenti alle registrazioni con già un’ampia padronanza del materiale da registrare.

L’idea di Carey non è quella di una traccia perfetta, ma quella di una traccia in cui gli errori contribuiscono a dare la giusta impronta al progetto. Un’altra cosa che ha contribuito alla creazione del suono della Speedy Wunderground è l’utilizzo di una macchina particolare. Si chiama Swarmatron, un sintetizzatore analogico prodotto dalla Dewanatron. Ad oggi ne esistono solo 83 esemplari e Carey ne possiede tre. Lo inserisce all’interno di tutte le sue produzioni, riuscendo a incastrarlo perfettamente all’interno degli arrangiamenti.

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Torniamo alla fondazione dell’etichetta.

Nel primo periodo, nonostante l’ampio curriculum di Dan, per l’etichetta non fu così semplice, ma poi le cose iniziarono a cambiare. Un giorno del 2014 si presenta sul portone della Speedy un volto conosciuto. Kae Tempest. Dopo due dischi, i Sound of Rum si erano sciolti e la rapper era pronta a iniziare la sua carriera da solista. Da quell’anno Dan e la Speedy Wunderground iniziarono a sfornare una lista di progetti musicali destinati ai più ambiti premi dell’industria discografica. In Kae, il produttore ha trovato l’artista perfetto con cui collaborare. Il successo del primo disco porta i due ad un tour insieme. Suonano insieme in Inghilterra, Europa e negli Stati Uniti, in cui trovano, tra una cosa e l’altra, il tempo di collaborare con Rick Rubin, Jay Z, Frank Ocean e Beck.

Ad oggi la Speedy Wunderground ha pubblicato 5 compilation e più di 40 singoli e una serie di EP. Il metodo Dan Carey ha contribuito alla creazione di molte delle nuove scene musicali inglesi. Il produttore ha forgiato il suono di numerosi artisti, Fontaines D.C. (nominati ai Grammy nel 2020), Wet Leg (Nominati ai Grammy nel 2022), Black MIDI, Black Country, New Road, Slowthai, e potremmo andare avanti per ore.

Ma ciò che conta di più non sono gli artisti che ha prodotto, ma l’ambiente da cui essi arrivano. Dan Carey e la Speedy Wunderground hanno creato una generazione di artisti che lavora la musica in maniera grezza, come in pochi continuano a fare, una generazione di artisti che viene dalle prove negli angusti scantinati o piccoli conerti nei “Windmill” di turno. Dan Carey ha ridisegnato la scena Underground britannica, in una maniera (purtroppo, o per fortuna) non replicabile.

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