- Frank Ocean – Channel Orange
- 10 luglio 2012
- ℗ The Island Def Jam Music Group
Aveva attirato parecchia attenzione su di sé circa un anno prima, quando aveva preso parte alla lista di featuring di Watch The Throne, di Kanye e JAY-Z. Sembrava essere piaciuto parecchio ai due colossi del rap game, tant’è che gli avevano lasciato spazio addirittura in due tracce. Una cosa piuttosto insolita per un artista emergente. A meno che tu non sia Frank Ocean, ma questo noi ascoltatori lo abbiamo capito solo dopo, più o meno nello stesso momento in cui abbiamo realizzato che era la stessa persona dietro John Legend, Alicia Keys, Beyoncé. La lista continua, ma focalizziamoci su “Channel Orange”.
Quello che rende straordinario Channel Orange è il modo in cui racconta una realtà perfettamente ordinaria. Il quadro di questo disco raffigura un’America frenetica, quella degli spot televisivi, traffico e videogiochi, popolata dai reietti della società. Ricchi e Infelici, Drogati e Signori della Droga, Prostitute e Papponi, al centro Christopher (Frank Ocean). Quello che di solito ci si aspetta da progetti di questo tipo, è un’aura di cupezza che parte dalla melodia e si insinua fino all’ultima parola dei testi. Ma qui è diverso. Quello fra Musica e Lyrics è il contrasto più evidente di Channel Orange.
Eliminati i testi, le melodie sarebbero la cornice perfetta per una giornata al mare, o una grigliata di metà estate. Groove elettrizzanti in cui il funky e l’R&B diventano un tutt’uno. Poi arrivano i testi e il panorama si stravolge. Ocean non ha bisogno di ridare a qualcuno quello che sta raccontando, questo si traduce in una narrazione incredibile in cui la performance vocale dell’artista californiano tocca livelli altissimi.
Ad aprire il disco è una traccia di poco meno di un minuto. Sembra l’attimo in cui stai per accendere il tuo videogioco preferito, prima che i suoni a 8 bit si convertano nei sintetizzatori filtrati di “Thinkin Bout You”, la traccia cardine di questo progetto. Sopra i ritmi cadenzati di cassa e clap, Ocean passa da cifre stilistiche che strizzano l’occhio al rap ai falsetti del ritornello. Poi di nuovo quaranta secondi di pausa. “Fertilizer” appare come uno spot pubblicitario e, mentre cambi canale, finisci in “Sierra Leone”. Un sogno lucido su un giovane che ha messo incinta una ragazza. I sottili arpeggi di Rhodes di “Sweet Life” esplodono in un vortice di Soul, mentre la voce di Ocean analizza quanto e in che modo la troppa ricchezza ci renda insensibili ai problemi del resto del mondo.
In Super Rich Kids, ritorna sul concetto di ricchezza, che diverrà uno dei punti fondamentali di questo disco. La traccia ha un’atmosfera luccicante, mentre la virata verso l’hiphop da parte di Ocean si fa più evidente. Più avanti, con “Lost”, diventerà sempre più evidente quanto sia importante mettere in luce le tensioni e i divari tra le classi sociali.
Ne è un esempio forse perfetto “Crack Rock”. Quello è il punto in cui l’intento del disco tocca il suo picco. Seppur a livello melodico sia una traccia che mette un’irrefrenabile voglia di danzare, il suo testo è molto di più. È uno spaccato di vita nel bel mezzo del nulla. Un paesello del centro America. È la storia di un tossico dipendente assuefatto dal crack. Ha perso qualsiasi cosa, è diventato un reietto della società, e nemmeno la sua famiglia ora lo supporta più. È forse la traccia più evocativa di questo disco. Per Ocean, le storie di queste persone sono importanti, forse più di quelle dei “Bambini Ricchi”.
Nei quasi dieci minuti di “Pyramids” l’R&B gioca con il pop elettronico stile “Graduation” che in quel periodo viveva ancora il suo periodo migliore. Se “Crack Rock” aveva il testo più evocativo, “Pyramids” ha la composizione migliore. Assoli di chitarra di John Mayer, Vocoder, stratificazioni di sintetizzatori, cambi di stile. Ha tutto. “Bad Religion” è forse l’unica traccia che a livello di immaginario collettivo potrebbe rispecchiare la “pesantezza” degli argomenti trattati nel disco. È una balld in cui questa volta il protagonista è il dolore. Il dolore di un amore non corrisposto. Con l’organo di “Bad Religion” i toni del disco si raffreddano. In “Pink Matter”, con Andre3000, il rap trova l’incastro perfetto per completare la traccia, diventando a tutti gli effetti il suo punto forte.
“Forrest Gump” è un’altra lucente composizione con l’amore al centro della storia. La traccia sfocia in un outro dai tratti particolari. Qui forse è l’unico momento in cui questo disco fa uscire degli attimi di cupezza. È una conversazione in macchina, con la radio accesa. Poi le voci si sfocano. Qualcuno apre la portiera. E va via. Torna a casa, accende quello che sembra un registratore, ma il disco è finito.