I/O

Peter Gabriel: La recensione di “I/O”

  • Peter Gabriel – I/O
  • 1 dicembre 2023
  • ℗ Peter Gabriel

Monumentale è il termine che con tutta probabilità si vorrebbe associare all’ultimo figlio artistico di uno dei più importanti artisti della musica contemporanea internazionale; Peter Gabriel non ha bisogno di alcuna presentazione, tra Genesis, carriera solista e ambito di produzione e sound design, e dopo decenni di altissima caratura musicale è voluto tornare con un progetto accantonato nel tempo, ma mai cancellato. È da quasi vent’anni che voleva dare alla luce i/o, ma alla fine, come spesso accade, i progetti possono essere messi da parte, ripensati e addirittura rimessi a nuovo.

Il progetto è enorme, e segue una campagna marketing ancora più interessante: il cantante britannico vuole produrre ben tre mix diversi del proprio disco, una Bright Side (con Mark Stent), una Dark Side (con Tchad Blake) più la In Side Mix in Dolby Atmos per la massima immersione possibile (con Hans-Martin Buff).

Praticamente ognuno dei dodici brani ha visto la luce nei mesi precedenti l’uscita ufficiale dell’album il 1° dicembre 2023cadenzati dalle fasi lunari (da gennaio a novembre dell’anno passato, con un mix o con l’altro a seconda del plenilunio o del novilunio) e seguiti da dei media di riferimento dello stesso Gabriel. Oltre ad avvalersi di più produttori di fiducia, Peter gira per più di venti studi a livello internazionale (tra cui uno in Italia) per produrre alla perfezione il proprio lavoro, che lo ha ripagato con eccellenti risultati di charts e vendite (tra cui un eccellente #1 in quella UK).

Il timbro e la prosodia del cantante inglese non sono esenti dalla sua età anagrafica, eppure sembrano essere ancora più avvolgenti e morbide, un lusso che altri non si sono potuti permettere. Seguito come al solito dai fedeli accoliti Tony Levin, David Rhodes e Manu Katché, molti altri musicisti si sono susseguiti tra le produzioni e le registrazioni in studio, fra cui la figlia di Gabriel Melaniee il trombettista italiano Paolo Fresu. I singoli hanno inoltre copertine prodotte tutte da artisti diversi che Gabriel conosce e/o stima, e che sono legati a forti tematiche sociali e riguardanti i diritti umani.

L’opening act del disco è il primo singolo Panopticom e rappresenta il tema della sorveglianza (ovvio il rimando al panopticonideato dal filosofo J. Bentham) misto all’idea dell’interconnessione degli esseri umani, come una sorta di cloud; le sonorità accurate e vintage ricreano nostalgiche sensazioni nei fan di vecchia data, in una traccia piacevolissima. Seguono The Court, degno successore di Up a livello di sound e sempre incentrata sulle tematiche etiche dell’essere umano, e Playing For Time, una ballad pianistica che ricorda la sua Wallflower, e come quest’ultima è piena di sentimento, riesce a toccare le corde più remote degli animi, parlando dell’importanza dei legami e degli eventi della nostra vita.

La title-track i/o (Input/Output), canta il bisogno di trovare un proprio posto, sotto un agile ritornello e melodie dritte, congiungendo le individualità al collettivo. Four Kinds of Horses, nata prima per un progetto di Richard Russell, fonde i principi “gabrieliani” con il trip-hop e un racconto della tradizione buddista; Road To Joy è un ottimo ritorno alle vibrazioni ritmiche degli anni Ottanta e Novanta dello stesso artista (comprensibile dato che è una produzione che Gabriel si porta dietro dai tempi di OVO), che si oppone alla seguente So Much, una quieta e intima riflessione sulla morte e sulla caducità dell’esistenza, un picco di elevata sensibilità per l’ascoltatore. 

Olive Tree è un tripudio di vitalità e veemenza, come “acqua che scende sulla testa”, come dice lo stesso cantante, che anche qui si pone come possibile contraltare a Love Can Heal, la quale rimanda col dolce chorus femminile al duetto con Kate Bush in Don’t Give Up di quasi quarant’anni fa, avvolta nel mistico violoncello di Linnea Olsson. Sembra fare un salto tra Us e le tracce di nuovo millennio This Is Home, dove il groove gabrieliano è fresco e aggiornato; la personalissima And Still, che Peter dedica alla madre morta alcuni anni fa, è un groviglio di pop, elementi di musica classica, ricordi felici commisti a quelli più tristi; conclude Live and Let Live, che seppur non sia una delle tracce più memorabili del disco, riassume ideologicamente tanto l’intero disco quanto una parte del Gabriel artista, pensatore e uomo.

Non sembra passato un attimo da quando Peter Gabriel ha cominciato a fare della sua musica una firma indiscutibile, un giubilo di sonorità che compongono una sofisticata musica art-pop. L’età non ha invecchiato la sua musica, non ha dato per scontato il solito lavoro riempitivo: Gabriel propone un ballo lento, immensamente emotivo, che non indietreggia di un passo rispetto ai lavori del recente passato, ma che riconferma l’autorità del musicista inglese nell’olimpo degli artisti della musica contemporanea internazionale.

/ 5
Grazie per aver votato!