- June – Intense About Things
- 28 Giugno 2024
- ℗ Vino In Vena Editore
Quello di June, all’anagrafe Giulia Vallicelli, è un viaggio che inizia nell’estate del 2022. La cantautrice romagnola ha sempre avuto un forte legame con la musica e, dal punto di vista compositivo/autoriale, ha preso la strada preferita di chi non vuole passare anni della sua vita a suonare le canzoni degli altri. Ha imparato da sola. Opinione condivisibile o meno, alla fine della storia, quello che conta è cosa hai da dire – e Intense About Things di cose da dire ne ha parecchie. Ma Andiamo con ordine.
June è un nome attribuito all’artista da alcuni amici, un semplice gioco di parole sul fatto che è nata a giugno, eppure, un gioco di parole che suona perfettamente con le atmosfere del disco. Quando si parla di differenze strutturali tra l’indie italiano e quello internazionale, si fa in fretta ad attribuire tutto alla lingua (si questo disco è cantato tutto in inglese). In realtà la differenza sta nei suoni, negli ambienti che si vogliono creare, nel modo in cui si sceglie di raccontare certe storie. Intense About Things, seppur grezzo sotto alcuni punti di vista (cosa piuttosto normale – ricordiamoci che è un disco di debutto totalmente indipendente), ha tutte queste caratteristiche.
L’album nasce dall’incontro con il produttore Francesco Francia (FRNQ), e un bisogno martellante di esprimere la propria creatività, abbattere i muri della timidezza, essere “Liberi”. I 35 minuti che fanno questo progetto sono un concentrato di indie-pop riflessivo, in cui l’artista segue un percorso di auto-analisi su tutti i momenti che l’hanno accompagnata fin li. Intese About Things racchiude circa due anni di storie e racconti, che legati l’un l’altro creano un viaggio alla ricerca di espressione. Un morbido rimando alla natura attenta e sensibile dell’artista rispetto ai cambiamenti, alla crescita e al sentirsi non sempre al passo con le vite degli altri.
L’apertura Bloodline, è il secondo singolo estratto dal progetto, uscito a settembre dello scorso anno. Le atmosfere intime e riverberate si incontrano con campioni (lungo il disco ne troveremo diversi), che creano un’aura perfetta, in cui Giulia riflette sull’importanza e la paura dei cambiamenti. Su The Lights gli arpeggi di chitarra si fondono ad una sezione ritmica sincopata. La fine di una relazione, un periodo di transizione tra liceo e università, fra il mondo dei piccoli e quello dei grandi. Crescita e transizioni guidano ancora una volta il brano che si spegne negli attimi di delusione e vulnerabilità di Whatever It Was. “Cosa sarebbe successo se le cose fossero andate diversamente?” – ammettiamolo tutti, ad un certo punto ci siamo posti questa domanda, e non sempre abbiamo avuto una buona dose di pragmatismo per poter guardare con obiettività a ciò che ci stava succedendo.
Small Feelings, ultimo singolo di anticipazione del disco, mette in contrasto la rabbia dei testi ad un’incredibile dolcezza compositiva, mentre la nostalgia entra da protagonista in To Kill a Lamb. Fragilità e infantilità guidano il disco e, ciò che veramente è importante, è che non c’è vergogna nella voce di June. Forse è perché questo è l’unico modo per imparare dai propri errori e crescere. Tutte queste sensazioni fanno parte del cambiamento di ognuno di noi.
Questo disco è un reminder: Per prenderne atto, farsene una ragione e andare avanti. I riverberi si ingigantiscono negli arpeggi di Play House. La nostalgia si fa sempre più forte e fa quasi male. È quel momento in cui guardi indietro a quei ricordi in cui il te bambino giocava a fare il grande. Era divertente, perché in fondo eri pur sempre un bambino. E poi? Il sogno si rompe, interrotto dalla suoneria di un telefono.
I leggeri strumming di chitarra acustica trasformano Funkiller in una traccia che strizza l’occhio alle prime composizioni di Phoebe Bridgers. Seppur leggero, questo è il brano più frenetico del disco, alla ricerca delle motivazioni per cui a volte ci si sente fuori luogo. My Eyes, My Angel, scritta e composta in collaborazione con Guido Natalini, ci conduce dolcemente verso la fine del disco. Slant è assolutamente il momento compositivo più alto di questo disco. Le emozioni si affievoliscono e si accentuano lungo tutta la durata, man mano che i suoni si evolvono, si sporcano e si aprono. Sebbene sia stata scritta durante un trasloco nel periodo in cui è avvenuta un’alluvione a Faenza, città dell’artista, il finale della traccia ritorna a quei dubbi martellanti che ci hanno cullato per tutto l’ascolto del disco – they might be wondering if i am enough.