Lahai

Sampha: La recensione di “Lahai”

  • Lahai  – Sampha
  • 20 Ottobre 2023
  • ℗ Young

Il cantante/producer inglese riemerge dal dolore con un LP/inno alla speranza. 

Era il 2017, l’ultima volta in cui Sampha regalava un disco al pubblico. “Process” era un progetto avvolto dal dolore, nato nel periodo successivo alla morte della madre dell’artista. Da lì più nulla, o meglio nulla di proprio. Negli anni successivi, Sisay ha collaborato con una vasta gamma di srtisti internazionali, da Alicia Keys, a Kendrick Lamar fino a Travis Scott. Ad oggi sembra aver sconfitto il dolore, con un disco più morbido, in cui le melodie prendono il sopravvento, colmo di speranza e luce. 

“Lahi” fa delle melodie il punto forte. L’artista è in grado di mescolare perfettamente sezioni orchestrali a pad, scricchiolii e rumori elettronici di sintetizzatore e strutture ritmiche complesse, tra breakbeat sincopati e cambi di tempo inaspettati. Lo studio sulle voci rappresenta un altro tassello importante di questo disco. L’artista lascia, mai a caso, porzioni di traccia in cui sono le voci femminili le vere protagoniste. 

Sampha

Si è chiuso in sé stesso, solo lui e l’arte, ed è iniziata la lavorazione del disco. L’artista ha utilizzato come punto di partenza per “Lahi”, il libro “More Brilliant Than the Sun”, libro di Eshun sull’afrofuturismo. È questo forse il punto di svolta, quello in cui si è creata l’atmosfera di questo disco.

Ad aprire “Lahi”, troviamo “Stereo Colour Cloud (Shaman’s dream)”, con brillanti arpeggi di synth, spoken word e la voce di Sisay che si alterna con kick e 808. Il break sincopato di “Stereo Colour” si regolarizza in “Spirit 2.0”. Un ticchettio ridondante gestisce in maniera perfetta i cambi di intensità, facendo da scheletro per una miscela di orchestrazioni, melodie di piano e stratificazioni vocali. 

Le campane stonate sul finale della traccia si dissolvono in una progressione di piano serrata. Da “Dancing Circles” inizia a crearsi un crescendo emotivo, che aumenta nelle ritmiche di “Suspended” e culmina nei rochi sussurri di “Satellite Business”.

La spiritualità di “Jonathan L. Segull” fa da collante fra soul e elettronica, mentre il cantante esplora i territori dell’uguaglianza. In “Only” elementi orientali si mescolano ai Breakbeat, mentre sulla traccia di chiusura “Rose Tint”, il piano si districa fra melodie vocali apparentemente scollegate e bassi corposi. In “Time Peace” la voce di una donna francese desidera una macchina per tornare indietro nel tempo. Non è un caso però che la traccia successiva si chiami “Don’t Go Back”. “Non si può tornare indietro / Non si può tornare indietro / Non si può tornare indietro”, canta ripetutamente Sampha, alla donna, o a sé stesso.

“Lahai” è un lavoro mastodontico, al suo interno riescono a coesistere perfettamente il soul, il rap, la musica elettronica, il nu-jazz e persino sperimentazioni di matrice nord-africana.

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