People Who Aren't There Anymore

Future Islands: la recensione di “People Who Aren’t There Anymore”

  • People Who Aren’t There Anymore – Future Islands
  • 26 gennaio 2024
  • 4AD

I Future Island sono ritornati con il loro settimo disco, People Who Aren’t There Anymore. Il fortunato progetto synth-pop e post-wave di Gerrit Welmers, William Cashion, Samuel Herring e Michael Lowry si presenta in una veste matura e riflessiva con un album che parla di perdita.

Il disco è nato all’indomani della pandemia da Covid-19 a seguito della rottura della relazione a distanza di Herring. L’evento ha rappresentato un’occasione di riflessione e introspezione sui vuoti lasciati dalle “persone che non ci sono più”, in cui la pandemia e i lockdown fanno da sfondo (“The sickness came in like a freight train/Ad swept us up into small towns/The curfews pushed us to a sundown/And we were caught in two places/I, I had to wach it fall apart from here” – The Sickness).

Da un punto di vista musicale, ascoltare un disco dei Future Island vuol dire non dover mai fare i conti con citazionismi posticci o brani sconnessi. Il gruppo ha un’estetica e delle sonorità molto ben definite, sviluppate a partire dal diversissimo background dei componenti ma sempre orientate alla new wave e al synth-pop. Un esempio? Il brano “Iris”, portato avanti da un fantastico groove disco dall’andatura africaneggiante. La ricerca di suoni “etnici” è parte della storia degli anni ’80 e della new wave – lo hanno fatto i Dead Can Dance, David Byrne, David Sylvian – ma i Future Island ne restituiscono la loro personale versione integrandola con discrezione nel loro sound.

Allo stesso tempo, non si tratta di un disco particolarmente sperimentale: la tracklist risulta abbastanza omogenea, con l’eccezione di qualche brano che si stacca dallo sfondo. È il caso di “Peach”, luminoso singolo rilasciato in anteprima, in cui il suono energico e delicato accompagna un’appassionata dichiarazione di resilienza. È interessante il ruolo del basso in “Say Goodbye”, utilizzato in modo da ottenere suoni più alternative. Anche la traccia di chiusura dell’album, “The Garden Wheel”, rappresenta uno stacco caratterizzato da sonorità più morbide e indie, adatte a mettere un punto alle pesanti riflessioni cantate lungo tutto il disco.

people who aren't there anymore

Il vero punto di forza di People Who Aren’t There Anymore, allora, è proprio il racconto. Il disco nasce da un profondo bisogno espressivo, e si sente: le liriche partono da esperienze collettive, come i continui lockdown del 2020 e la perdita di persone care, arrivando all’ascoltatore in modo estremamente diretto. Sono testi potenti, enunciati e valorizzati da una voce all’apice della sua maturità. Con solo qualche parola (“Another quiet night/Back in my old city” – Corner of My Eye) la scrittura è in grado di trasportare chi ascolta in scenari allo stesso tempo personali e condivisi. “The Sickness” e “Corner of My Eye” sono splendide ballate dall’anima dolceamara che ci ricapiterà di sentire quando cercheremo qualcosa con cui emozionarci.

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