R&B

Timeless: La recensione del terzo disco di KAYTRANADA

  • KAYTRANADA – Timeless
  • 7 giugno 2024
  • ℗ RCA Records / KAYTRANADA

Timeless ha davvero le carte in regola per incastonarsi tra i grandi classici “senza tempo”? A nemmeno un mese di uscita, analizziamo meglio alcune tracce con cui il produttore canadese ha sbalordito tutti. Sono 18 i nuovi brani del disco che si pone a metà tra l’house e l’Hip-Hop/R&B.

Pressure è la traccia d’apertura, un brano estremamente carico ed energico tutto strumentale pop e dance che sembra andare a contrastare il titolo: ogni tipo di pressione psicologica, fisica sembra arrestarsi di fronte a questi suoni che contribuiscono a conferire una pace interiore estremamente forte. Il brano vede la ripresa di un sample di Thelma Houston.

Proseguendo con l’ascolto in cuffia, Call U Up è il feat con il fratello di Kaytanada, Lou Phelps. Il brano è la conferma lampante del fatto che il talento in casa sia un fatto di famiglia – le barre su questo beat accompagnate da un pianoforte che si fa piano piano sempre più incalzante ad ogni rima rendono il brano estremamente iconico. “I don’t wanna call u up, “cause I don’t wanna fall in love”, la frase più emblematica e ricca di significato che ci ricorda quanto sia difficile frenare gli istinti nel momento in cui sono in ballo i sentimenti e quanto sia difficile far prevalere la razionalità nei momenti di difficoltà.

Il feat successivo che incontriamo è in Weird, un inno alla stranezza che può essere sia una benedizione che una condanna. I cori ad inizio brano sono ricchi di carica emotiva, posti ad apertura quasi a ricordare quanto non sia detto che la stranezza sia una caratteristica negativa e quanto spesso ci dimentichiamo che ognuno di noi può risultare strambo agli occhi di qualcun altro, proprio perché il mondo è bello perché è vario. Forse, però, in questo brano vengono descritti atteggiamenti “strani” che lacerano un’altra persona e a farcelo ipotizzare è il timbro soul di Durand Bernarr, cantautore statunitense.

timeless-kaytranada

Dance dance dance dance è, invece, il pezzo più funky di tutti, un brano che metterebbe voglia di ballare anche alle persone più impacciate del mondo: i suoni della traccia spingono a lasciarsi andare e a provare a non avere timori. Tra i brani senza feat, ma degni di nota ci sono Seemingly, che presenta la voce campionata di Don Blackman che fa irruzione prima di un’esplosione micidiale di cassa, basso e batteria (il brano è “Holding you, loving you”) e Stepped on in cui è forte il tema della generosità scambiata spesso per debolezza: non è mai una grande idea sottovalutare le persone prima di conoscerle, non si può mai sapere cosa hanno dentro o che battaglia stanno combattendo; è triste ricordare quanto, al giorno d’oggi, la generosità sia ribellione.

Un altro brano strumentale è Please babe, una vera e propria richiesta di amore: un brano minimalista caratterizzato dalla sola ripetizione della frase “Please Babe, make love to me”. L’assenza di ulteriori versi fa in modo che l’ascoltatore si concentri esclusivamente sui suoni, estremamente evocativi che rendono ancora più intima la richiesta. La semplicità del brano riesce a far sì che si crei una fortissima connessione tra l’ascoltatore e chi fa la richiesta, così da arrivare a stuzzicare la fantasia di ognuno e la personalizzazione dell’esperienza.

Lover/Friend vede, invece, il contributo della voce pazzesca Rochelle Jordan. Il confine tra essere amici e amanti è estremamente labile e sembra che i protagonisti descritti nel brano l’abbiano superato. Out of luck è un altro feat degno di nota, con Mariah The Scientist. Il brano esplora il concetto di rassegnazione, di impotenza di fronte ad un amore unilaterale che non dà segni di speranza. Ulteriori brani pazzeschi sono Feel A Way (con Don Toliver), Video, Stuntin…Estremamente ricco di featuring, Timeless riesce comunque a preservare una propria identità e personalità ben distinta (cosa profondamente difficile in un mondo in cui fare feat è solitamente una strategia di mercato per fare più stream).

Tramite un ascolto approfondito di questo disco possiamo trovare una risposta alla domanda che ci siamo posti all’inizio: la sua miscela unica di influenze elettroniche, hip-hop e R&B e il suo stile identificativo permetteranno sicuramente a Timeless di sopravvivere a lungo.


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5,0 / 5
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Off The Wall: L’album d’oro della Disco Music al tramonto della Disco Music

  • Michael Jackson – Off the Wall
  • 10 Luglio 1979
  • ℗ Epic / MJJ Productions

Life ain’t so bad at all / If you live it Off The Wall

Al suo ventunesimo anno di età, quella che sarebbe diventata una delle icone pop più grandi di tutti i tempi, aveva più anni di carriera di molti altri musicisti. E non era una cosa positiva. Per il bambino prodigio di Gary, le luci dei riflettori sono sempre state più un male che un bene e, complice un padre fin troppo severo e esigente, Michael Jackson non ha mai vissuto la tenera età come tutti gli esseri umani meriterebbero. Questo è forse il primo punto che rende il suo quinto disco così incredibile. Off The Wall è da considerare a tutti gli effetti come un secondo debutto per Jackson. Un secondo debutto in cui tirare fuori tutto sé stesso, celebrare la vita e la voglia di divertimento che solo in giovane età si ha. Quale genere migliore per esprimere questo concetto se non la Disco Music

Off The Wall arriva apparentemente nel momento sbagliato e sembra proprio non interessarsene minimamente. Esce in commercio il 10 Luglio del 1979, appena due giorni prima che il mondo decretasse la fine del genere. Con la Disco Demolition Night, un evento in cui, in uno stadio di baseball, vennero demoliti migliaia di dischi, al culmine di un movimento reazionario contro la Disco Music. Off The Wall procede a passo spedito, scala le classifiche, entra nei cuori di qualsiasi ascoltatore e fa capire al mondo che l’ultimo ad avere la parola prima del tracollo del genere è Michael Jackson.

Per quello che diventerà il Re Del Pop, questo disco è un processo di transizione di 42 minuti da prodigio dei Jackson 5 a icona mondiale. Per comprendere meglio il disco, forse bisognerebbe fare qualche passo indietro, più precisamente all’estate del 1976. I fratelli Jackson disegnano sulla CBS un mondo fatto di luci abbaglianti, costumi e stravaganza, che debutterà col nome di The Jacksons. Quel programma cucirà su Michael un personaggio complicato da scrollarsi di dosso, ed è molto difficile far vedere davvero chi sei, se il mondo rimane avvinghiato ad un’immagine di te completamente distorta e “abbagliata dai flash”. Con Off The Wall, Jackson disegnerà un nuovo artista a 360 gradi. Look nuovo, personaggio nuovo e, in un modo o nell’altro, una persona nuova. 

off the wall

L’idea del disco ha iniziato a prendere forma nella testa di Michael a New York, durante le riprese di The Wiz, nel 1978. In quel periodo, la Grande Mela era un costante via vai di artisti e personalità di spicco del mondo dello spettacolo, che il Michael ventenne ha attirato (o da cui è stato attirato) come una calamita. Ben distante da quelle atmosfere stile “Sesso, Droga e Rock N’ Roll”, si è limitato ad assimilare quanto più l’ambiente era disposto ad offrirgli, per trasformarlo in un’istantanea perfetta dell’epoca simbolo di stravaganza e eccessi.

Durante le riprese del film, il giovane Jackson non si diverte solo, ma fa anche parecchie conoscenze. E una di queste gli cambierà la vita. Ha un curriculum chilometrico, va da Dizzy Gillespie a Frank Sinatra, e il suo nome e Quincy Jones. Quando l’idea del disco iniziò a concretizzarsi, il dinamico duo non voleva solo un album che permettesse a Jackson di affermarsi artisticamente, volevano il miglior album di Disco Music mai prodotto. A distanza di 45 anni dalla sua uscita, possiamo dire che ci sono riusciti. Q e Michael ascoltarono un totale di circa 800 demo, prima di scegliere le dieci tracce di Off The Wall.

Fatto il pieno di alcuni dei musicisti migliori che la scena musicale del tempo potesse offrire, prenotarono gli studi. Il disco è stato lavorato fra gli Allen Zentz Recoding Studios, i Westlake e i Cherokee. L’El Dorado della produzione musicale, dotato di alcune delle apparecchiature più avanzate dell’epoca. Dentro questi veri e propri templi della musica, la raffinatezza delle produzioni di Jones e la creatività di Michael diventarono un tutt’uno. Dentro l’apparente involucro Disco di Off The Wall, si incrociano Jazz, R&B e Funk, sorrette da riff scoppiettanti, orchestrazioni e sezioni ritmiche incalzanti. Il mix tra elementi acustici e i primi elementi elettronici crea un sound riconoscibile alla prima nota e incredibilmente fresco, almeno per l’epoca. Ricordiamoci sempre che siamo nel 1978. 

Il disco si apre con i sussurri di Jackson che si trasformano in falsetti, in Don’t Stop ‘Til You Get Enough. Il groove irresistibile e i suoni scintillanti delle sezioni di ottoni hanno catapultato il brano ai vertici delle classifiche. Rock With You è un’altra punta di diamante. La traccia simbolo della Disco Music, che ancora oggi è una lezione di come si scrive musica per il dancefloor. Scritta da Rod Temperton, è uno dei brani più iconici della discografia di Michael Jackson. I morbidi tocchi di piano avvolgono perfettamente le voci in una produzione in cui il muro portante è affidato ad una sezione ritmica magistrale. Con Working Day and Night si creano alcune delle strutture vocali che faranno da cifra stilistica per il Michael degli anni ’80. Versetti, armonie e linee melodiche incredibilmente dinamiche si fondono ai riff funky, in una delle tracce più movimentate del disco. 

Co-scritta con Louis Johnson, Get on the Floor è un inno alla danza. Jackson mette da parte le sperimentazioni delle prime tracce dell’album e si concentra sull’obbiettivo iniziale: La Disco. La title-track è qualcosa di magico. Scritta ancora una volta da Rod Temperton, celebra la libertà e la voglia di divertirsi, di cui l’artista si era innamorato durante la sua permanenza tra i club di New York City. La produzione raffinata fa da trampolino di lancio per un performance vocale di Michael Jackson che va oltre tutto ciò a cui eravamo stati abituati fino a quel momento.

Paul McCartney firma Girlfriend. Il pop di ieri e il pop di oggi (ovviamente si parla sempre del 1978) inchiodano la spensieratezza in una traccia allegra e giocosa, prima di entrare in contatto con un’altra punta di diamante di questo disco. She’s Out Of My Life è una bomba emotiva a cui non eri abituato. Vista l’euforia delle tracce precedenti, arrivato a questo punto resti come spiazzato, e forse è per questo che l’impatto è così forte. La straziante fine di una relazione in un’interpretazione impeccabile di Jackson, che trasuda vulnerabilità e malinconia come mai fino a quel momento. Il Brano si trasforma in un secondo l’apice più toccante di Off The Wall.

Stivie Wonder e Susaye Green lasciano il loro nome sul mix perfetto fra Jazz e Pop. Il modo in cui gli strati di sintetizzatore si incrociano alle ritmiche e ai soffici glissando di Rhodes in I Can’t Help It, mostrano la grande versatilità di Jackson, mentre gli archi ci portano verso la fine del disco. It’s the Falling in Love, vede il ragazzo di Gary intento a duettare con Patti Austin, in una traccia rilassata, dagli spunti funky delle chitarre effettate alle armonie vocali. La chiusura del disco è una sentenza. Con Burn This Disco Out Jackson invita il mondo a ballare finché non esaurisce le forze e, su un groove irresistibile, decreta la fine dell’era Disco. 

Se c’è stato un momento in cui Michael Jackson, Mj, o qualunque sia il modo in cui vogliate chiamarlo è stato semplicemente Michael è questo. Per questi 42 minuti tutto quello che è stato prima: i Jackson 5, un padre che l’ha cresciuto come un prodotto da vendere; Tutto quello che è stato dopo: Thriller, Il Re Del Pop, le controversie e le battaglie legali, sono nulla. Questo è il momento in cui, più di tutti, Michael Jackson è stato semplicemente Michael.

/ 5
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Viscardi: La recensione di “My Lady” 

  • Viscardi – My Lady
  • 19 Giugno 2024
  • ℗ Viscardi / Believe

Analizzando il panorama musicale italiano odierno è abbastanza evidente la supremazia indiscussa di soltanto due generi: Il Pop e il Rap. Tutte le altre scene musicali rappresentano una fetta estremamente piccola nell’insieme dei generi. Ma forse qualcosa sta iniziando a cambiare. Ne avevamo parlato qualche mese fa, con un articolo rivolto all’R&B degli anni 2000, che negli Stati Uniti sembra stia tornando di moda, nelle sonorità di svariati artisti e gruppi. In Italia, seppur con i nostri tempi, sembra stia succedendo la stessa cosa, non tanto dal punto di vista degli artisti, che sono sempre esistiti, quanto dal punto di vista del pubblico.

My Lady

Uscito ieri, My Lady, nuovo singolo di VISCARDI, è un punto di svolta quantomeno interessante nel panorama musicale italiano, che intreccia sonorità R&B alle profonde radici culturali e linguistiche della tradizione napoletana. All’anagrafe Vincenzo Viscardi, l’artista campano, ha confezionato una traccia incredibilmente interessante, che offre una prospettiva chiara sulla sua identità artistica.  Nato in un contesto dal futuro incerto, ciò che ha cambiato le regole del gioco, per il cantautore è stato fondamentale il canto e la danza, due arti che hanno accompagnato tutto il suo percorso di crescita. Nonostante oggi il canto abbia un ruolo più importante nel suo percorso, Viscardi non ha abbandonato la danza, che trova spazio nelle coreografie che lo accompagnano sul palco, e che lo aiutano ad esprimere al meglio la sua vera essenza. 

Tra le sonorità R&B che richiamano profondamente le ambientazioni di personaggi come D’Angelo e Erykah Badu, ciò che rende forte il progetto, è l’incontro con il dialetto napoletano. Attraverso la produzione di Giada De Prisco, che ha creato un arrangiamento estremamente raffinato e coinvolgente, Viscardi esprime la sua identità artistica sotto una storia che racconta la fine di una relazione.


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Lauryn Hill: La recensione di “The Miseducation of Lauryn Hill”

  • Lauryn Hill – The Miseducation of Lauryn Hill
  • 25 Agosto 1998
  • ℗ Ruffhouse Records LP

Il primo (e unico) disco dell’ex Fugees, pubblicato il 25 agosto del 1998, è forse uno dei punti di svolta più importanti nella storia della musica. Con le sue influenze, che spaziano dal reggae al soul, The Miseducation of Lauryn Hill si è trasformato nel giro di poco tempo in un classico istantaneo, rappresentando una pietra miliare non solo nell’Hip-Hop, ma nell’R&B, e in svariati sottogeneri. 

Dopo l’uscita di The Score, i Fugees si erano ritrovati immersi in un enorme successo. Avevano consolidato il loro status nella scena musicale internazionale, ed è proprio quando il sogno sembra non poter essere intaccato, che si frantuma in mille pezzi. Nonostante il grande successo, il percorso della band di Wyclef Jean, Pras Michel e della Hill, non è stato privo di difficoltà. La storia insegna che più la tensione è alta, più è facile che la corda si spezzi. Queste tensioni interne e una visione artistica incapace di scendere a compromessi, portarono la Hill ad intraprendere la sua carriera da solista. E per fortuna. 

Come molto spesso accade con questo tipo di progetti (vedi Mr. Morale & The Big Steppers), il disco è nato da un intenso periodo di isolamento. Dopo la “caduta” dei Fugees, l’artista di East Orange, è sparita per un po’ dalla scena musicale, per concentrarsi su sé stessa e sulla sua famiglia. Fu proprio questo periodo, a dare a Hill l’ispirazione per i temi che sarebbero poi confluiti in The Miseducation of Lauryn Hill. Una dichiarazione d’indipendenza, sull’essere genitore, sul trovarsi da sola a crescere un figlio, in balia di un mondo non esattamente buono. Il risultato finale del disco è una lettera d’amore a sé stessa e a chi riesce a non darsi per vinto.

Ciò che è veramente perfetto è pero, l’incredibile capacità della stessa Hill (e in questo la sua militanza nei Fugees ha aiutato non poco) di unire la profondità e la spiritualità dei testi con delle melodie accattivanti e arrangiamenti complessi.

foto the miseducation of lauryn hill

L’intro del disco introduce il concetto di “maleducazione”, nell’ambiente in cui l’educazione è più importante, quello di un’aula scolastica. Con Last Ones, una delle tracce più aggressive del disco, ci troviamo difronte una Hill che si scaglia contro chi ha tradito la sua fiducia, a colpi di strumentali a metà fra reggae e Hip-Hop. Le atmosfere si ammorbidiscono nel soul strappa cuore di Ex-Factor, tra dolore, confusione e una relazione travagliata. L’amore prende un’altra sembianza in To Zion. La traccia, dedicata a suo figlio Zion, è un concentrato di gioia e vitalità, sostenuto dalle chitarre di Carlos Santana.

Doo Wop (That Thing) è un inno all’essere donna, al rispettare sé stesse e a non cadere vittime della superficialità. In Superstar torniamo a vedere una Lauryn trasportata dalla rabbia, mentre si scaglia contro l’industria musicale e contro il concetto di celebrità. [“La musica dovrebbe ispirare”]. La vediamo alle prese con spiritualità e giustizia sopra un capolavoro di Boom Bap su Final Hour, prima che si confonda fra i glissando di arpa e le percussioni reggae di When It Hurts So Bad, ancora una volta intrappolata dentro storie d’amore. È bene o male la stessa storia di sempre. Usare l’amore per incanalare la forza di volontà. I Used to Love Him rimane su questo concetto, e la collaborazione con Mary J. Blige non può fare altro che rendere questa traccia ancora più incredibile. 

Su Forgive Them Father il reggae si sposta dalla produzione alle linee vocali, mescolandosi perfettamente fra soul e desiderio di perdono, prima di virare sui ritmi Funky di Every Ghetto, Every City, un’istantanea dell’infanzia di Lauryn a East Orange, il luogo in cui è nata e cresciuta, e che in qualche modo ha contribuito a plasmarla. D’angelo spinge Nothing Even Matters in caldi e romantici ambienti R&B, mentre con Everything Is Everything torna l’anima pura dell’Hip-Hop, tra campioni di soul e jazz e un inno alla speranza e resilienza. La title-track arriva a chiudere il disco. The Miseducation of Lauryn Hill riassume tutto il disco in quasi quattro minuti di puro calore. È tutto ciò che il mondo avrebbe voluto da Hill, ed è tutto ciò che lei non gli darà mai. È uno specchio della sua crescita personale e del viaggio che l’ha portata fin lì. 

Il disco, in realtà si conclude con due hidden track, Can’t Take My Eyes Off of You (I Love You Baby) e Tell Him viaggiano nei profondi dell’R&B, con linee melodiche che ricordano vagamente Sinatra e vocalizzi incredibili, rivelandosi due delle tracce migliori di questo capolavoro mastodontico. 

The Miseducation of Lauryn Hill è un’opera fuori da ogni barriera culturale e genere musicale. Una discografia intera in un unico album a dimostrazione che a volte non servono quarant’anni di carriera per cambiare il mondo. 

/ 5
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Tuesday Music Revival: Frank Ocean – Channel Orange

  • Frank Ocean – Channel Orange
  • 10 luglio 2012
  • ℗ The Island Def Jam Music Group

Aveva attirato parecchia attenzione su di sé circa un anno prima, quando aveva preso parte alla lista di featuring di Watch The Throne, di Kanye e JAY-Z. Sembrava essere piaciuto parecchio ai due colossi del rap game, tant’è che gli avevano lasciato spazio addirittura in due tracce. Una cosa piuttosto insolita per un artista emergente. A meno che tu non sia Frank Ocean, ma questo noi ascoltatori lo abbiamo capito solo dopo, più o meno nello stesso momento in cui abbiamo realizzato che era la stessa persona dietro John Legend, Alicia Keys, Beyoncé. La lista continua, ma focalizziamoci su “Channel Orange”.

Quello che rende straordinario Channel Orange è il modo in cui racconta una realtà perfettamente ordinaria. Il quadro di questo disco raffigura un’America frenetica, quella degli spot televisivi, traffico e videogiochi, popolata dai reietti della società. Ricchi e Infelici, Drogati e Signori della Droga, Prostitute e Papponi, al centro Christopher (Frank Ocean). Quello che di solito ci si aspetta da progetti di questo tipo, è un’aura di cupezza che parte dalla melodia e si insinua fino all’ultima parola dei testi. Ma qui è diverso. Quello fra Musica e Lyrics è il contrasto più evidente di Channel Orange.

Eliminati i testi, le melodie sarebbero la cornice perfetta per una giornata al mare, o una grigliata di metà estate. Groove elettrizzanti in cui il funky e l’R&B diventano un tutt’uno. Poi arrivano i testi e il panorama si stravolge. Ocean non ha bisogno di ridare a qualcuno quello che sta raccontando, questo si traduce in una narrazione incredibile in cui la performance vocale dell’artista californiano tocca livelli altissimi. 

Ad aprire il disco è una traccia di poco meno di un minuto. Sembra l’attimo in cui stai per accendere il tuo videogioco preferito, prima che i suoni a 8 bit si convertano nei sintetizzatori filtrati di “Thinkin Bout You”, la traccia cardine di questo progetto. Sopra i ritmi cadenzati di cassa e clap, Ocean passa da cifre stilistiche che strizzano l’occhio al rap ai falsetti del ritornello. Poi di nuovo quaranta secondi di pausa. “Fertilizer” appare come uno spot pubblicitario e, mentre cambi canale, finisci in “Sierra Leone”. Un sogno lucido su un giovane che ha messo incinta una ragazza. I sottili arpeggi di Rhodes di “Sweet Life” esplodono in un vortice di Soul, mentre la voce di Ocean analizza quanto e in che modo la troppa ricchezza ci renda insensibili ai problemi del resto del mondo. 

Channel Orange

In Super Rich Kids, ritorna sul concetto di ricchezza, che diverrà uno dei punti fondamentali di questo disco. La traccia ha un’atmosfera luccicante, mentre la virata verso l’hiphop da parte di Ocean si fa più evidente. Più avanti, con “Lost”, diventerà sempre più evidente quanto sia importante mettere in luce le tensioni e i divari tra le classi sociali.

Ne è un esempio forse perfetto “Crack Rock”. Quello è il punto in cui l’intento del disco tocca il suo picco. Seppur a livello melodico sia una traccia che mette un’irrefrenabile voglia di danzare, il suo testo è molto di più. È uno spaccato di vita nel bel mezzo del nulla. Un paesello del centro America. È la storia di un tossico dipendente assuefatto dal crack. Ha perso qualsiasi cosa, è diventato un reietto della società, e nemmeno la sua famiglia ora lo supporta più. È forse la traccia più evocativa di questo disco. Per Ocean, le storie di queste persone sono importanti, forse più di quelle dei “Bambini Ricchi”. 

Nei quasi dieci minuti di “Pyramids” l’R&B gioca con il pop elettronico stile “Graduation” che in quel periodo viveva ancora il suo periodo migliore. Se “Crack Rock” aveva il testo più evocativo, “Pyramids” ha la composizione migliore. Assoli di chitarra di John Mayer, Vocoder, stratificazioni di sintetizzatori, cambi di stile. Ha tutto. “Bad Religion” è forse l’unica traccia che a livello di immaginario collettivo potrebbe rispecchiare la “pesantezza” degli argomenti trattati nel disco. È una balld in cui questa volta il protagonista è il dolore. Il dolore di un amore non corrisposto. Con l’organo di “Bad Religion” i toni del disco si raffreddano. In “Pink Matter”, con Andre3000, il rap trova l’incastro perfetto per completare la traccia, diventando a tutti gli effetti il suo punto forte. 

“Forrest Gump” è un’altra lucente composizione con l’amore al centro della storia. La traccia sfocia in un outro dai tratti particolari. Qui forse è l’unico momento in cui questo disco fa uscire degli attimi di cupezza. È una conversazione in macchina, con la radio accesa. Poi le voci si sfocano. Qualcuno apre la portiera. E va via. Torna a casa, accende quello che sembra un registratore, ma il disco è finito.

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Eddie Chacon: La recensione di “Sundown”

  • Eddie Chacon – Sundown
  • 31 Marzo 2023
  • ℗ Stones Throw Records

L’ex “Charles & Eddie” torna con il suo secondo album in studio. In “Sundown”, l’artista californiano mette da parte le sperimentazioni e le modifiche che aveva apportato al suo soul del disco precedente, e tira fuori dall’armadio vecchie sonorità, che riescono però ad acquisire un nuovo smalto. Con John Carol Kirby (Solange, Frank Ocean, Miley Cyrus), che aveva lavorato alle produzioni di “Pleasure, Joy and Happiness”, questo disco si impregna di jazz anni ’70 e Funk, combinati con assoli di piano e groove anni ’80. 

È proprio il pattern di batteria jazz ad aprire questo disco. Sulla ritmica di “Step By Step”, si adagiano morbidi strati di sintetizzatori. Mentre la voce di Chacon rimane un sussurro nell’aria, salvo acquisire maggior importanza quando canta “Step By Step”. Tra gli arpeggi di piano elettrico e una batteria scarna, costituita principalmente da cassa e piatti, il vero groove di questa canzone lo danno le percussioni prese in prestito alla world music e un contrabasso sfocato.

In “Comes and Goes” ci spostiamo verso sonorità funky, nonostante il ritmo sia rallentato. Il sound di Eddie inizia a confluire sempre di più verso l’R&B degli anni ’90, aiutato dall’assolo di sax di Logan Hone, primo e unico faturing di questo disco. Le percussioni afro di “Sundoun” infondono un’atmosfera calda e esotica, che dura per tutti i quasi 5 minuti di canzone, mentre la voce di Chacon torna ai sussurri della prima traccia.

“Holy Hell” era uscita come singolo di anticipazione del disco ad agosto del 2022. È la traccia più grossa del disco, in termini di arrangiamento. Contiene sezioni ritmiche e strumming mutati di chitarra funk in sottofondo, miscelati perfettamente a strati e arpeggi di sintetizzatore e al sempre presente, e in questo caso carico di effetti, Fender Rhodes. Alle percussioni di “Haunted Memories” vengono aggiunte batterie elettroniche, mentre la voce di Chacon appare sempre più lontana, quasi come a voler lasciare spazio alla linea melodica principale della traccia, dettata in questo caso dal basso. “Same Old Song” introduce una sezione di fiati e ottoni più presente rispetto a Comes and Goes, mentre “The Morning Sun”, ultima traccia di questo disco e un piacevole ballo fra flauto traverso e sezione ritmica, con la voce di Eddie che questa volta è più presente ed appare sporca e leggermente distorta. 

Voto: 7/10

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Kali Uchis: La recensione di “Red Moon in Venus”

  • Kali Uchis – Red Moon in Venus
  • 3 Marzo 2023
  • ℗ Geffen Records

Prova superata a pieni voti per il terzo disco della cantante statunitense di origini sudamericane. Le sperimentazioni funk, R&B e Bossa Nova degli album precedenti confluiscono tutte in “Red Moon in Venus”, è il secondo album della Uchis ad essere quasi completamente in inglese. Tra suoni e arrangiamenti esotici, curati da una lunga lista di producers, da Rodney Jerkins, conosciuto anche come “Darkchild” (Michael Jackson, Spice Girls, Beyoncé), a Benny Blanco (Ed Sheeran, Kanye West, Camila Cabello), si sviluppano testi che parlano d’amore, in tutte le sue forme con un’aura astrologica, come sottolinea il titolo stesso del disco. 

In “in My Garden…”, introduzione di pochi secondi, ci troviamo di fronte a suoni esotici, uccelli e un piano elettrico. La prima traccia effettiva di questo disco è “I Wish you Roses”, ritmi rallentati e linee melodiche calde e leggere. “Worth the Wait” con Omar Apollo, mischia drum machine e suoni percussivi a sensazioni tra il funk e l’R&B degli anni ’90. “Love Between…” prosegue sulle atmosfere funky, ma quello che caratterizza tutto l’album è proprio la contrapposizione fra generi che viaggiano a velocità diverse. “All Mine” molto essenziale, il ritmo lo detta la linea melodica di basso. 

“Fantasy” con Don Toliver contamina il genere predominante del disco con elementi afropop, generando una traccia sensuale. “Como Te Quiero Yo” e “Hasta Cuando” è la prima delle tre tracce per la maggior parte in spagnolo. I vocalizzi e le sensuali atmosfere rievocano sfaccettature più tristi, che raccontano della sofferenza legata all’amore. In “Endlessly”, prodotta da Darkchild, si torna verso un groove funky, in cui le sezioni di ottoni lasciano spazio a sintetizzatori analogici. “Deserve Me” con Summer Walker e “Moral Conscience”, introducono elementi trap, i testi parlano di consapevolezza e relazioni tossiche.

L’interludio “Not Too Late” spicca una ritmica Hip-Hop old school all’interno di una traccia profondamente R&B. “Blue” richiama strumenti tradizionali, si può sentire una tuba e un mandolino, tra le ritmiche serrate e i synth, mentre tra gli elementi di astrologia del testo di “Moonlight” la cantante si diverte in frasi come: “Voglio solo sballarmi con il mio amante. “Happy Now” affronta il perdono, per essere felice e continuare ad essere innamorata. 

Voto: 8/10

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