Self Similar

The Mercury Tree: La recensione di “Self Similar”

  • Self Similar – The Mercury Tree
  • 7 Settembre 2023
  • ℗ Self Published

Alieno è tutto ciò che risulta estraneo allo standard. Spesso può spaventare, risultare troppo distante da ciò al quale siamo abituati. Nella musica tale aggettivo viene spesso associato alla sperimentazione e all’innovazione, in alcuni casi portata anche all’estremo. Nello specifico, ultimamente molte band occidentali hanno approcciato alla xenarmonia, un’accordatura diversa rispetto alle canoniche dodici note.

In questo universo i Mercury Tree hanno trovato il loro sound: gli strumenti raggiungono così molte più suddivisioni rispetto ai dodici semitoni che collegano un DO all’ottava successiva. Senza entrare troppo in tecnicismi inutili, il suono che fuoriesce è pertanto alieno, enigmatico, talvolta di difficile ascolto, ma raggiunge un’armonia inaspettata che ingloba l’ascoltatore in una spirale dolcemente contorta.

A partire dalla voce, che spesso ricorda Geddy Lee dei Rush a tratti posseduto, dalle prime note di “Grown Apart” sono chiari i riferimenti al Re Cremisi, seppur più astrusi, così come gli eco non troppo lontani di altri capisaldi, quali Tool, in particolar modo in “Similar Self”.

Proseguendo, si ritrova Steven Wilson e soci in “Binary”, i dimenticati ai più Oceansize nella title track, dove subentra prepotentemente la voce dell’ospite di eccezione Gabriel Lucas Riccio. Si arriva poi alla dura e granitica “Stay The Corpse”, dove la psichedelia, il grunge e il metal si fondono in un unico sontuoso brano.

L’album si conclude con la coppia formata da “Dark Triad” e “After The Incident”, che consacrano l’album, portando l’ascoltatore in poco meno di diciassette minuti tra accenni iniziali ai Genesis, a nuovi intrecci di Frippiana memoria, fino ad una conclusione che strizza l’occhio ad un genio come Tom Yorke. Il tutto condito da tempi dispari e poliritmie, come nella splendida “Recursed Images” impreziosita da strumenti meno usuali rispetto a quelli suonati dal terzetto di Portland, quali dulcimer, salterio e tongue drum, pregevolmente eseguiti dall’eclettico Damon Waitkus dei Jack O’ The Clock. Rimandi, ma mai troppo accentuati, che permettono di godere di sonorità familiari senza scadere in banali plagi.

Un caleidoscopio di suoni che trova nel math rock la base di partenza, ma si arricchisce di sonorità psichedeliche, tribali e, perché no, progressive metal. Queste musiche variopinte sono accompagnate da testi criptici, che parlano di trasformazione, sogni, “morti viventi”, alternative al binarismo della vita, con un conclusivo “Sono sveglio” che lascia ben sperare.

Chi conosce la band non può non trovare un’evoluzione negli anni, a partire dagli albori dell’omonimo “The Mercury Tree”, più oscuro ma al contempo fruibile, passando per “Pterodactyls”, dove si inizia ad ascoltare un primo avvicinamento alla sperimentazione, accentuata nei successivi “Freeze In Phantom Form” e “Countenance”, ed infine sublimata con le due perle antecedenti quest’ultimo lavoro, ovvero “Permutations” e “Spidermilk”. Con “Self Similar” il trio statunitense ha alzato ulteriormente l’asticella, permettendoci di gustare un’altra sfaccettatura del loro mondo alieno, ma magnificamente armonico.

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