So Vanilla

Viji: La recensione di “So Vanilla”

  • So Vanilla – Viji
  • 27 Ottobre 2023
  • ℗ Speedy Wunderground / [PIAS]

Il disco di debutto dell’artista Austro-brasiliana, ma di stanza a Londra, incrocia il bedroom pop ad un soft-rock vintage. Dopo essersi messa alle spalle due EP e diversi singoli, sotto l’etichetta Dirty Hit, ha trovato un posto sicuro nella Speedy Wunderground, etichetta discografica londinese di Dan Carey (Fontaines D.C., Squid, Black MIDI), per poter portare a termine il suo primo disco. “So Vanilla”, che prende il nome dalla stessa cantautrice, Vanilla Jenner, ha visto la luce per la prima volta circa un anno fa. È stato registrato prevalentemente nel sud di Londra e tutto il processo creativo, avvenuto sotto l’occhio vigile di Carey, è stato unico per ogni traccia di questo disco. 

I due hanno trovato il loro posto perfetto, una bolla d’arte in cui suonare e scrivere fino a tarda notte, da cui è emerso un miscuglio di suoni sporchi e atmosfere cupe. 

So Vanilla Viji

Ad aprire “So vanilla” è “Anything”, un’esplosione di suoni metallici synth vorticosi e la morbida voce della Jenner. Insieme ai riff squillanti del ritornello di “Down”, queste prime due tracce incarnano perfettamente un alt-rock anni ’90. Tra stratificazioni shoegaze, l’artista trova spazio per cenni di pop sperimentale. È proprio questo genere a contaminare la traccia successiva. “Sedative”, uscita come singolo lo scorso luglio, è più minimale. Le chitarre filtrate danzano su pattern ritmici pop, mentre la voce asciutta di Vanilla, si assottiglia. 

C’è un motivo se l’approccio alla lavorazione del disco è stato unico per ogni traccia. È perché ogni traccia di “So Vanilla” è unica nel suo genere. “In Sundress In Pink” le distorsioni vengono relegate ai margini della traccia. Mentre il riverbero aumenta, tutte le stratificazioni scompaiono. “Blanket” mostra lo stesso modus operandi, ma questa volta anche l’arrangiamento e ridotto all’essenziale, trasformando la traccia in una midtempo cupa e contaminata dal grunge. 

In “Sharks” emergono influenze emo, mentre passo dopo passo le strutture di sintetizzatore assumono più importanza, raggiungendo il loro culmine in 1850. La traccia di chiusura, “Ambien”, erige un muro di chitarre cruncy che vanno e vengono a loro piacimento, mentre la voce leggera della Jenner balla sul charleston.

Viji è riuscita e miscelare in maniera perfetta un’ampia gamma sonora, creando un disco di debutto altamente sopra le aspettative, in cui ogni traccia è diversa a modo suo, ma senza mai risultare fuori posto all’interno del disco.

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