Soul

Lauryn Hill: La recensione di “The Miseducation of Lauryn Hill”

  • Lauryn Hill – The Miseducation of Lauryn Hill
  • 25 Agosto 1998
  • ℗ Ruffhouse Records LP

Il primo (e unico) disco dell’ex Fugees, pubblicato il 25 agosto del 1998, è forse uno dei punti di svolta più importanti nella storia della musica. Con le sue influenze, che spaziano dal reggae al soul, The Miseducation of Lauryn Hill si è trasformato nel giro di poco tempo in un classico istantaneo, rappresentando una pietra miliare non solo nell’Hip-Hop, ma nell’R&B, e in svariati sottogeneri. 

Dopo l’uscita di The Score, i Fugees si erano ritrovati immersi in un enorme successo. Avevano consolidato il loro status nella scena musicale internazionale, ed è proprio quando il sogno sembra non poter essere intaccato, che si frantuma in mille pezzi. Nonostante il grande successo, il percorso della band di Wyclef Jean, Pras Michel e della Hill, non è stato privo di difficoltà. La storia insegna che più la tensione è alta, più è facile che la corda si spezzi. Queste tensioni interne e una visione artistica incapace di scendere a compromessi, portarono la Hill ad intraprendere la sua carriera da solista. E per fortuna. 

Come molto spesso accade con questo tipo di progetti (vedi Mr. Morale & The Big Steppers), il disco è nato da un intenso periodo di isolamento. Dopo la “caduta” dei Fugees, l’artista di East Orange, è sparita per un po’ dalla scena musicale, per concentrarsi su sé stessa e sulla sua famiglia. Fu proprio questo periodo, a dare a Hill l’ispirazione per i temi che sarebbero poi confluiti in The Miseducation of Lauryn Hill. Una dichiarazione d’indipendenza, sull’essere genitore, sul trovarsi da sola a crescere un figlio, in balia di un mondo non esattamente buono. Il risultato finale del disco è una lettera d’amore a sé stessa e a chi riesce a non darsi per vinto.

Ciò che è veramente perfetto è pero, l’incredibile capacità della stessa Hill (e in questo la sua militanza nei Fugees ha aiutato non poco) di unire la profondità e la spiritualità dei testi con delle melodie accattivanti e arrangiamenti complessi.

foto the miseducation of lauryn hill

L’intro del disco introduce il concetto di “maleducazione”, nell’ambiente in cui l’educazione è più importante, quello di un’aula scolastica. Con Last Ones, una delle tracce più aggressive del disco, ci troviamo difronte una Hill che si scaglia contro chi ha tradito la sua fiducia, a colpi di strumentali a metà fra reggae e Hip-Hop. Le atmosfere si ammorbidiscono nel soul strappa cuore di Ex-Factor, tra dolore, confusione e una relazione travagliata. L’amore prende un’altra sembianza in To Zion. La traccia, dedicata a suo figlio Zion, è un concentrato di gioia e vitalità, sostenuto dalle chitarre di Carlos Santana.

Doo Wop (That Thing) è un inno all’essere donna, al rispettare sé stesse e a non cadere vittime della superficialità. In Superstar torniamo a vedere una Lauryn trasportata dalla rabbia, mentre si scaglia contro l’industria musicale e contro il concetto di celebrità. [“La musica dovrebbe ispirare”]. La vediamo alle prese con spiritualità e giustizia sopra un capolavoro di Boom Bap su Final Hour, prima che si confonda fra i glissando di arpa e le percussioni reggae di When It Hurts So Bad, ancora una volta intrappolata dentro storie d’amore. È bene o male la stessa storia di sempre. Usare l’amore per incanalare la forza di volontà. I Used to Love Him rimane su questo concetto, e la collaborazione con Mary J. Blige non può fare altro che rendere questa traccia ancora più incredibile. 

Su Forgive Them Father il reggae si sposta dalla produzione alle linee vocali, mescolandosi perfettamente fra soul e desiderio di perdono, prima di virare sui ritmi Funky di Every Ghetto, Every City, un’istantanea dell’infanzia di Lauryn a East Orange, il luogo in cui è nata e cresciuta, e che in qualche modo ha contribuito a plasmarla. D’angelo spinge Nothing Even Matters in caldi e romantici ambienti R&B, mentre con Everything Is Everything torna l’anima pura dell’Hip-Hop, tra campioni di soul e jazz e un inno alla speranza e resilienza. La title-track arriva a chiudere il disco. The Miseducation of Lauryn Hill riassume tutto il disco in quasi quattro minuti di puro calore. È tutto ciò che il mondo avrebbe voluto da Hill, ed è tutto ciò che lei non gli darà mai. È uno specchio della sua crescita personale e del viaggio che l’ha portata fin lì. 

Il disco, in realtà si conclude con due hidden track, Can’t Take My Eyes Off of You (I Love You Baby) e Tell Him viaggiano nei profondi dell’R&B, con linee melodiche che ricordano vagamente Sinatra e vocalizzi incredibili, rivelandosi due delle tracce migliori di questo capolavoro mastodontico. 

The Miseducation of Lauryn Hill è un’opera fuori da ogni barriera culturale e genere musicale. Una discografia intera in un unico album a dimostrazione che a volte non servono quarant’anni di carriera per cambiare il mondo. 

/ 5
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Eddie Chacon: La recensione di “Sundown”

  • Eddie Chacon – Sundown
  • 31 Marzo 2023
  • ℗ Stones Throw Records

L’ex “Charles & Eddie” torna con il suo secondo album in studio. In “Sundown”, l’artista californiano mette da parte le sperimentazioni e le modifiche che aveva apportato al suo soul del disco precedente, e tira fuori dall’armadio vecchie sonorità, che riescono però ad acquisire un nuovo smalto. Con John Carol Kirby (Solange, Frank Ocean, Miley Cyrus), che aveva lavorato alle produzioni di “Pleasure, Joy and Happiness”, questo disco si impregna di jazz anni ’70 e Funk, combinati con assoli di piano e groove anni ’80. 

È proprio il pattern di batteria jazz ad aprire questo disco. Sulla ritmica di “Step By Step”, si adagiano morbidi strati di sintetizzatori. Mentre la voce di Chacon rimane un sussurro nell’aria, salvo acquisire maggior importanza quando canta “Step By Step”. Tra gli arpeggi di piano elettrico e una batteria scarna, costituita principalmente da cassa e piatti, il vero groove di questa canzone lo danno le percussioni prese in prestito alla world music e un contrabasso sfocato.

In “Comes and Goes” ci spostiamo verso sonorità funky, nonostante il ritmo sia rallentato. Il sound di Eddie inizia a confluire sempre di più verso l’R&B degli anni ’90, aiutato dall’assolo di sax di Logan Hone, primo e unico faturing di questo disco. Le percussioni afro di “Sundoun” infondono un’atmosfera calda e esotica, che dura per tutti i quasi 5 minuti di canzone, mentre la voce di Chacon torna ai sussurri della prima traccia.

“Holy Hell” era uscita come singolo di anticipazione del disco ad agosto del 2022. È la traccia più grossa del disco, in termini di arrangiamento. Contiene sezioni ritmiche e strumming mutati di chitarra funk in sottofondo, miscelati perfettamente a strati e arpeggi di sintetizzatore e al sempre presente, e in questo caso carico di effetti, Fender Rhodes. Alle percussioni di “Haunted Memories” vengono aggiunte batterie elettroniche, mentre la voce di Chacon appare sempre più lontana, quasi come a voler lasciare spazio alla linea melodica principale della traccia, dettata in questo caso dal basso. “Same Old Song” introduce una sezione di fiati e ottoni più presente rispetto a Comes and Goes, mentre “The Morning Sun”, ultima traccia di questo disco e un piacevole ballo fra flauto traverso e sezione ritmica, con la voce di Eddie che questa volta è più presente ed appare sporca e leggermente distorta. 

Voto: 7/10

/ 5
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