- Television – Marquee Moon
- 8 Febbraio 1977
- ℗ Elektra Records / Rhino Entertainment / Warner Music Group
I “Television” furono come tante band coetanee uno dei figli del CBGB, un locale underground di Lower Manhattan, scuola del punk rock americano. In quel periodo l’underground newyorkese passava per due vie, o uno stile pesante e distorto di Guitar-rock o uno stile più simile a quello dei Velvet Underground, fatto di giri di blues e droni avant-garde. I Television, come ogni altra band pionieristica che abbiamo analizzato, fanno una scelta diversa, e optano per costruire una terza via.
Il gruppo si forma a New York nel 1971, inizialmente con il nome “Neon Boys”. La formazione subì diversi cambiamenti fra il ’71 e il ’75. Nel 1975 il gruppo trovò finalmente la strada giusta. Cambiò nome in “Television” e iniziò a fare sul serio.
I “Television”, formati da Tom Verlaine, chitarra e voce, Richard Lloyd, chitarra, Fred Smith, basso e Billy Ficca, batteria, trovarono spazio al CBGB, locale underground casa di personaggi come i Talking Heads, Ramones e Blondie. Da lì la band spiccò il volo. Nei due anni successivi, attirarono l’attenzione di Brian Eno, gli stessi Blondie e perfino Peter Gabriel.
Nel 1977, a seguito di un contratto con l’Elektra Records, diedero alle stampe Marquee Moon, il loro primo disco. Mentre Tom Verlaine scriveva le canzoni di questo progetto, New York viveva uno dei suoi periodi più bui. Se però, c’è una cosa che la musica ha insegnato a tutti gli appassionati, è che i migliori lavori escono a causa di questi problemi.
Scartato quindi il primo demo prodotto da Brian Eno e firmato il contratto, la prima cosa che Verlaine fa, è assoldare Andy Johns, che nel ’72 aveva contribuito a rendere “Exile on Main St.” degli Stones, uno dei loro dischi migliori. Non ci sono solo loro tra gli esperimenti di Johns. L’ingegnere del suono, ha lavorato a gran parte dei dischi degli Zeppelin usciti negli anni ’70, e più tardi con in Van Halen.
Trovate le canzoni e il produttore, restava da capire in che direzione dovesse andare il disco. Le radici di Marquee Moon, sono pesantemente avvinghiate al Rock and Roll britannico dei primi anni ’70. È dentro quel rock and roll, che la band trova tonalità di chitarra pulite che però hanno la capacità di restare sempre al centro dell’attenzione, tenute a bada da una sezione ritmica estremamente versatile e mai banale di Billy Ficca.
Il disco si apre con “See No Evil”, costruita alla perfezione, per tenerti incollato ad ascoltare tutti i 47 minuti di questo disco. La prima cosa che viene fuori da questa traccia, è un’incredibile timbrica nella voce di Verlaine. L’ispirazione dei Rolling Stones di primi anni ’70 è inconfondibile. “Venus” da una rallentata al disco. Verlaine si concede quasi quattro minuti di calma. Come per la traccia precedenti (e in realtà anche per le successive), Venus è caratterizzata da accordi semplici. Questa volta a prendersi un po’ più spazio nella scena è il basso di Fred Smith, che contribuisce a gran parte del groove della canzone. Il testo è piùttosto criptico, parte da una semplice notte a New York e si evolve con Tom che cade tra le braccia della Venere di Milo, che non possiede le braccia.
Riff cruncy, rullo di tamburi e la voce Zeppeliniana di Verlaine apre a “Friction”. La traccia è ricca di cambi di direzione, assoli squillanti. Descritta in sole due parole potrei usare “montagna russa”.
“L’atmosferica”, per usare le parole con cui l’ha descritta il frontman della band, Title Track è quella che da sola potrebbe reggere il disco, qui vengono fuori delle ottime capacità compositive dei membri della band. “Marquee Moon” è puro cinema, ti basta chiudere gli occhi per viverla. La cosa più incredibile è che il riff su cui l’intera traccia si appoggia è composto da solo due note. Le chitarre sono incredibilmente squillanti, poi filtrate, poi cruncy e poi di nuovo filtrate, e a dettare questi cambiamenti ci sono gli swing della batteria di Ficca.
Quello che la traccia cattura è il contrasto della Grande Mela, da una parte le insegne al neon, le attrazioni per turisti, i colori, dall’altra? Stato di abbandono, criminalità dilagante, scarse misure di igiene e una classe politica menefreghista. Questo è un contrasto che nel corso degli anni si farà sempre più spazio all’interno della musica, come abbiamo visto nell’analisi di Appetite for Destruction dei Guns n’ Roses.
In “Elevation” la band inizia a spostare le sue sonorità verso altri mondi. Tonalità clean colme di effetti pinkfloydiane, i riverberi sulla voce prendono un’altra piega, e gli slide di chitarra imperversano sugli arpeggi di Lloyd. “Guiding Light” da un’altra brusca frenata. La traccia da un’impressione di una simil “Sounday Morning”, finché Verlaine non inizia a cantare. È probabilmente una delle migliori tracce del disco, frutto di una scrittura a quattro mani tra Verlaine e Lloyd. I due prendono in prestito arrangiamenti soft-rock di metà decennio e li ristrutturano, spalmandoci sopra incertezze e pensieri notturni.
“Prove It” apre il sipario con corde pizzicate e chitarre filtrate. Era una delle tracce che il pubblico, ai tempi del CBGB, preferiva. Non a caso è stata estratta come singolo. La traccia mette in luce ancora una volta problemi da risolvere, visti sotto una luce investigativa. Come si evince da “Questo è chiuso” cantato da Tom alla fine della canzone.
Quale miglior titolo se non “Torn Curtain” per la traccia di chiusura dell’album. È forse l’unica traccia che presenta dei toni in qualche modo cupi, resi più oscuri dalla voce trascinata di Verlaine. I fill di tom di Ficca conducono la band all’interno di un’esperienza umana, ancora una volta dai tratti pinkfloydiani. “La tenda strappata rivela un altro gioco”, canta il frontman. La complessità produttiva e nella composizione in questa traccia tocca i livelli più alti del disco, portando i ritmi lenti ad esplodere in un assolo di chitarra sconnesso e stonato, che riflette non solo “Torn Curtain”, ma tutto il disco.
Voto: 10/10