The Last dinner party

The last Dinner party: La recensione di “Prelude to ecstasy”

  • Prelude To Ecstasy – The last dinner party
  • 2 Febbraio 2024
  • Island

Countdown terminato: è uscito Prelude To Ecstasy, l’atteso esordio delle The last dinner party, quintetto british tutto al femminile attivo dal 2021. I singoli del 2023 e le performance dal vivo (vantano anche un’apertura ai Rolling Stones) avevano già fatto conoscere la proposta artistica della band. Si tratta di ragazze che sanno bene quello che fanno e quello che vogliono raccontare, non a caso hanno di recente vinto il BBC Sound Off e il British Award nella sezione “Rising star”.  Le ragioni di questo successo repentino? Sicuramente la voce di Abigail Morris, così come la scrittura di singoli da stadio, senza dimenticare che si sta parlando di musiciste indie rock affascinate dal teatro, che in questo progetto ha un’influenza fondamentale sia per l’identità musicale sia per quella visiva.
In sostanza quello che si ascolta è un art-rock/barocco con un orientamento mainstream, dodici tracce confezionate in studio dalle mani sapienti di James Ford.

The Last Dinner Party

A parte Morris e la bassista Georgia Davies, il resto delle componenti padroneggia più di uno strumento, valore aggiunto che insieme al contributo di un’orchestra porta questo lavoro ad avvicinarsi al genere “Opera rock” (anche per l’estetica e la sfarzosità). E inizia proprio con un’ouverture orchestrale, quel Prelude To Ecstasy che non ha bisogno di parole per anticipare i temi dominanti: amori al limite del dramma, dolci perversioni, esemplificazioni medievali (da notare i riferimenti a Giovanna D’arco), riscatto femminile e diversità di genere (“I wish I could be a beautiful boy” – Beautiful boy). Questo primo assaggio mette in chiaro la derivazione classica e jazz di gran parte delle TLDP.

Con Burn Alive succede qualcosa di strano: tra cocktail di sangue e forti pulsioni sessuali, la tensione gotica viene smorzata nel ritornello, trovando conforto in un sound new wave orecchiabile che strizza l’occhio a Kate Bush, già citata dalla critica come una delle maggiori influenze (insieme a David Bowie, Siouxsie and the Banshees e Florence and the Machine). Altre analogie si possono azzardare con la teatralità di Amanda Palmer o addirittura con gli sfondi cinematografici e soffusi di Julee Cruise, elementi che si possono cogliere ascoltando Caesar on a tv screen,The Feminine urge e la già citata Beautiful boy. C’è spazio anche per deviazioni glam e sonorità più spinte. In questo raggruppamento rientrano principalmente My Lady of Mercy, la disinibita Nothing Matters (“And I will fuck you like nothing matters”) e Sinner, che nel finale ricorda progressioni di accordi tipiche di molti pezzi dei Foo Fighters.

Per la categoria Momenti più intensi ci sono almeno quattro passaggi: On your side, in cui vengono espressi desideri carnali e vampireschi (“This blood on my face/ Where your teeth sunk in/ Bite me again). Qui la chiusura cupa e dilatata rimanda alle soundtrack della serie TV tedesca “Dark”; Gjuha, che spiazza con un coro in albanese e una solennità da musica sacra; Gli ultimi settanta/ottanta secondi di Portrait of a Dead Girl, un trionfo di prog psichedelico semplificato accompagnato da un assolo in stile Porcupine Tree; Mirror, una ending track matura che sintetizza la formula delle TLDP, probabilmente quella dove il bilanciamento emotivo/immaginario/testuale/musicale è più equilibrato. In conclusione si può parlare di canzoni che funzionano per contrasto.

Nonostante ci siano passaggi molto forti a livello visivo e simbolico, la voce è nel mezzo a gestire sofferenze e prese di coscienza, paure e lussuria. Inoltre si passa da sfumature pop a sonorità gotiche (o viceversa), con l’effetto di alleggerire l’inquietudine espressa in alcuni momenti, forse ciò che porta l’ascoltatore a ridimensionare l’esperienza e a vederla sotto una luce prettamente teatrale. Se è vero che il secondo è sempre il più difficile, va detto anche che un esordio come questo non è di certo da tutti.

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