The Beatles – Sgt. Peppers’s Lonely Hearts Club Band
26 Maggio 1967
℗ Calderstone Productions Limited / Universal Music Group
Il 1967 è stato per i Beatles, l’anno più produttivo di sempre. Durante il suo corso, il quartetto di Liverpool ha messo in fila una serie di pezzi da novanta. Durante il 1967, la band non lavorò soltanto a “Sgt. Pepper”, tra le produzioni erano contenuti spunti e demo contenuti poi nei loro progetti futuri, documentari, video promozionali e addirittura un vero e proprio film.
Prima di immergersi nel racconto di uno dei dischi più importanti degli anni ’60, occorre aprire una piccola parentesi sul gruppo. Già con il disco precedente, i Beatles avevano raggiunto l’apice della loro fama, diventando la band più conosciuta al mondo, ma come gran parte dei gruppi musicali, quella fama era diventata la causa principale dei loro problemi, dando inizio ad una fase di squilibri all’interno della formazione. Dopo una lunga pausa, si trovarono tutti e quattro agli Abbey Road Studios, verso la fine del 1966.
La prima canzone che nacque, tra mille peripezie, fu ‘Strawberry Fields Forever’, in cui venne introdotto per la prima volta l’utilizzo del Mellotron. Nonostante lo sviluppo tecnologico, la band decise di non utilizzare quella versione e di affidarsi al produttore George Martin, che se da una parte contribuì a creare un disco mastodontico, composto da archi e ottoni, dall’altra fu una delle cause principali degli attriti fra i membri del quartetto. ‘Strawberry Fields Forever’ non fu inserita in “Sgt. Pepper”, ma nonostante ciò, fu la scintilla che diede inizio al disco.
Se ‘Strawberry Fields’, viene descritta come il punto di inizio del disco, è perché durante quelle sessions, la band registro la prima vera traccia di “Sgt. Pepper”. ‘When I’m Sixty-Four’ era stata scritta da Paul, circa otto anni prima, come omaggio ai suoi genitori.
Il disco è un vasto assortimento di sonorità ricercate, a tratti psichedeliche, che sotto molti punti di vista rappresenta il lavoro più importante dei Beatles. Si apre con la title track, una miscela di orchestra e hard rock, caratterizzata da chitarre squillanti, sezioni di ottoni e suoni ambientali.
Il leggero accenno di art rock si diluisce in ‘With a Little Help for my Friends, una canzone scritta a quattro mani da Lennon e McCartney. A differenza della traccia precedente, questa è più classica, la band non si avventura in soluzioni orchestrali o suoni psichedelici. Questo succede invece in ‘Lucy In The Sky With Diamonds’, il cui strumento guida è un organo processato. Nell’intro vengono inseriti suoni piuttosto interessanti per l’epoca, a partire dal Sitar, proveniente probabilmente dal viaggio spirituale in India che George Harrison aveva condotto nel periodo di pausa dell’anno precedente. ‘Getting Better’, scritta in gran parte da Paul, calza perfettamente con la voce di Lennon. Nonostante la timbrica allegra, la traccia esplora temi particolarmente problematici, come quello della violenza domestica, che risiedono all’interno del passato di John Lennon.
“Fixing a Hole” è piuttosto semplice. Si sviluppa sulla sezione di clavicembalo suonato da George Martin e sui riff crunch di Harrison. Mentre Ringo passa da ritmi swing a progressioni più semplici. Un’arpa sognante accompagnata da una sezione d’archi ci introduce a ‘She’s Leaving Home’. È un duetto tra John e Paul, ispirato ad una notizia su una ragazza scomparsa, dopo essere uscita di casa, e trovata dopo molto tempo. Questa è, insieme a ‘A Day in The Life’, uno degli ultimi duetti tra Lennon e McCartney. Il primo lato del disco si chiude con ‘Being for the Benedit of Mr. Kite!’, un miscuglio contorto di atmosfere deliranti. In questo pezzo la psichedelia dilaga, sotto forma di sezioni di fiati drop down di violini, organi e clavicembali.
È nonostante la baraonda, almeno da un punto di vista compositivo, una delle tracce più studiate, a partire dai campioni a nastro scelti, fino ad arrivare a suoni in stile Beach Boys. Il testo è praticamente copiato/incollato da un poster.
Nonostante il tempo abbia dato (parzialmente) ragione alla band, per un lungo periodo “Sgt. Pepper’s Lonely Heart Club Band”, dopo la sua uscita, aveva generato non pochi segnali contrastanti, non solo dalla critica, ma anche dagli artisti stessi. Frank Zappa, ne ha addirittura tirato fuori un album parodia, mentre Bob Dylan lo ha considerato «Indulgent». Altri artisti, hanno invece provato a cavalcare il suo impatto mediatico. Sto parlando proprio dei Rolling Stones e di “Their Satanic Majesties Request”, uscito proprio nello stesso anno. Per gli Stones, il disco, era stato un suicidio artistico. Sia la critica che il pubblico lo avevano completamente demolito, costringendoli ad un restyling completo del loro sound.
Tornando a “Sgt. Pepper”, anche il pubblico non era rimasto proprio soddisfatto, e tutt’ora non ne è soddisfatto. In un sondaggio della BBC del 2005, su un campione di ascoltatori, il disco ha ricevuto abbastanza voti per essere ritenuto uno dei 10 dischi più sopravvalutati della storia e, probabilmente, complici anche i tre dischi precedenti, non è non è poi così insolito pensare che la fama del gruppo l’abbia preceduto.
Ad ogni modo, abbiamo ancora il lato B da analizzare.
In ‘Within You Without You’, unica composizione di Harrison, emergono nuovamente le atmosfere orientali, figlie della sua esperienza in india. La traccia è un incontro tra strumenti folkloristici orientali e le orchestrazioni di Martin. Durante le sessions presero parte diversi musicisti indiani. La composizione principale raggiungeva circa i 30 minuti, ma durante la stesura del disco è stata poi ridotta a 5. ‘Lovely Rita’ è un’altra rock ballad allegra scritta da McCartney, caratterizzata da un tappeto di organi su cui poggia l’assolo di piano di Martin.
In ‘Good Morning Good Morning’ veniamo risvegliati dal canto di un gallo, che ci catapulta in una canzone piuttosto movimentata, composta da sezioni di ottoni gracchianti e la ritmica serrata di Ringo. È una traccia sarcastica sviluppata sul concept di Andy Warhol, infarcita con suoni ambientali. Il breakbeat di batteria di ‘Sgt. Pepper’s Lonely Hearts Club Band (Reprise)’ ci guida verso una delle tracce più importanti, se non la più importante, che è anche colei che chiude il disco.
‘A Day In The Life’ prende piede tra gli applausi del pubblico. Sono uno strumming leggero di chitarra acustica e un piano a guidare la voce sottile di Lennon. Nonostante la semplicità percepita all’inizio, la traccia si evolve in un crescendo orchestrale. Per Lennon, alla sessione principale, mancava qualcosa, una sezione iconica. Sezione iconica che trovarono con l’orchesta. L’intento del gruppo era creare un orgasmo sonoro. Per faro Martin e McCartney si sono serviti di un’orchestra di 40 elementi. Le tracce vennero poi sovraincise 4 volte, in modo da dare l’impressione che gli elementi fossero 160.
Sono pochi i dischi perfetti, usciti senza sbavature in cui non si riesce a trovare un errore neanche con il carattere più pignolo, e “Sgt. Peppers’s Lonely Hearts Club Band” non è sicuramente tra questi. Ma bisogna dare atto alla band di un paio di cose. Lennon e McCartney riescono a creare, forse per l’ultima volta, un legame nelle tracce vocali che poche altre volte si è visto. Le atmosfere, dettate dagli ambienti psichedelici e dai testi criptici, cantanti con spiazzante tranquillità sono lo specchio perfetto della ‘flower wave’ di quel periodo. L’ultimo punto riguarda l’impatto artistico. Checché se ne dica, ‘Sgt. Pepper’ è stato un disco capace di cambiare, ancora una volta, il modo di fare musica, e il disco degli Stones, citato in precedenza, è solo uno di quelli ispirati all’ottavo disco del quartetto di Liverpool.
Voto: 9.6/10