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The Decemberists: La recensione di As It Ever Was, So It Will Be Again

Review

Voto
7.4/10
Overall
7.4/10
  • As It Ever Was, So It Will Be Again – The Decemberist
  • 14 giugno 2024
  • Yabb Records

All’apertura del sipario, non si sa mai cosa aspettarsi dai personaggi messi in scena dai The Decemberists, menestrelli moderni che si affacciano all’estate con il nuovo As It Ever Was, So It Will Be Again.

Nel panorama musicale ci si può imbattere di tanto in tanto in progetti che hanno infinite sfumature e cambi di rotta spiazzanti. In tal senso può venire in mente la camaleontica produzione dei Motorpsycho o dei più recenti King Gizzard & The Lizard Wizard.

E la band di Meloy e soci fa appunto parte del club di chi scuote l’alternative-rock prendendolo dalle caviglie, cercando sempre di accostare elementi di novità ad episodi più classici. 

A sei anni di distanza dal più elettronico I’ll Be Your Girl si fa un passo indietro, lasciando in consolle la tentazione di provarci di nuovo, vestendo i primi due brani con sonorità di sostegno alla narrazione poetica.

Per cui si passeggia in un cimitero accompagnati dalle melodie pop di Burial Ground, mentre in Oh No! ci si ritrova a ballare ad un matrimonio, una danza balcanica in cui i demoni sono sempre in agguato.
Una volta scaldato il pubblico, arrivano le prime note di The Reapers per stravolgere l’atmosfera fintamente spensierata. I personaggi del racconto sono dei contadini immersi nella quotidianità, scandita dal lavoro e dal naturale corso degli eventi.

Girando pagina si torna a melodie più semplici e di appannaggio country. 
Long White Veil inizia come un qualsiasi pezzo dei Rem. Anzi, come Losing My Religion in una tonalità diversa, solo che qui si parla piuttosto di “losing my love”.
William Fitzwilliam aggiunge alla scaletta una ballad country in rime.

Al centro dell’opera troviamo due momenti importanti ed un altro cambio d’atmosfera.

Don’t Go to the Woods è un canto toccante e dalle tinte medievali, in cui la melodia tratteggia fedelmente l’ambientazione.

As It Ever Was So It Will Be Again

Chitarra acustica, doppie voci e fiati costruiscono la trama di Black Maria, una sorta di marcia dei vinti, di chi non ce l’ha fatta a cambiare vita e viene consegnato alla giustizia traghettato dal Black Maria. 

È in momenti come questi che l’accoppiata Meloy-Conlee (Jenny Conlee è in formazione dagli esordi) dà il meglio di sé intrecciando armoniosamente le voci.

Scorrendo in ordine ci si imbatte nell’amore ostinato di All I Want Is You, le cui parole sono rimaste nel notebook del songwriter per tanto tempo, per poi trovare spazio in quello che, ad oggi, è il lavoro più lungo della band di Portland.
In coda si può ascoltare qualcosa di più rockeggiante come Born To The Morning o dondolare al ritmo di America Made Me, appello alla madre patria concepito come una marcetta a metà tra le ritmiche pianistiche di Elton John e i fiati trionfanti di Sgt. Pepper’s.

Dopo i suoni sixties di Tell Me What’s On Your Mind, arriva Never Satisfied, delicata e minimale, una parentesi agrodolce per una rassegnata insoddisfazione di fondo. Poteva anche terminare così, lasciando in sospeso qualche interrogativo esistenziale ma portando a casa, in fin dei conti, una buona manciata di canzoni.

Ma la band affila le matite e disegna l’ultima traiettoria, Joan in the Garden, una suite di oltre 19 minuti in cui prende forma la figura di Giovanna D’arco. La novità non sta tanto nella proposta di un brano che, per sintetizzare, si può definire progressive, perché queste scelte compositive si erano già notate in passato (i più curiosi potrebbero ascoltare l’EP The Tain o The Hazards of Love). Piuttosto è la durata, che non aveva mai raggiunto questo minutaggio, la vera sorpresa. Il cantante ha usato l’espediente della vicenda di Giovanna D’arco per raccontare la sua visione della donna moderna. 
Parte come un classico brano dreamy-folk, per poi aumentare l’intensità drammatica aggiungendo sempre più strumenti, batteria, campane, distorsioni e chitarre in feedback, sfiorando l’epicità di pietre miliari come “Dogs” dei Pink Floyd
Al suo apice la suite si sgretola in un tappeto di rumoristica e psichedelia in cui i primi Porcupine Tree sarebbero stati a loro agio. Poi il risveglio finale, una cavalcata hard’n’heavy in cui i synth di Jenny Conlee dirigono la storia verso la conclusione, anzi verso il titolo, sottolineando che “come è sempre stato, così sarà di nuovo” (“As It Ever Was, So It Will Be Again”, appunto).

E al calar del sipario, una raccolta di nuove storie da portare a casa, o dentro le cuffie. E per capire a che punto sono i The Decemberist nella loro storia musicale, basta aprire le pagine dei loro capitoli per tracciare la linea che da menestrelli li ha condotti ad essere abili narratori.

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