The National Parks: La recensione di “8th Wonder”

  • The National Parks – 8th Wonder
  • 3 Marzo 2023
  • ℗ The National Parks

“8th Wonder” è il quinto album in studio del quartetto originario dello Utah, composto da “Brady Parks”, chitarrista, cantante e autore di tutte le tracce di questo disco, Megan Parks, violinista, Sydney Macfarlane, tastierista e seconda voce e Cam Brannelly, batterista. 8th Wonder è un disco che celebra la vita, una colonna sonora da viaggio che ti accompagna verso periodi positivi e negativi, vittorie e sconfitte, difficoltà e amori, a ritmo di folk combinato con synthpop. È un album con buoni presupposti, ma che purtroppo non riesce a rimanerti dentro come sperato.

“Angels”, traccia di apertura del disco, è probabilmente una delle più impattanti. Costituita da vocalizzi campionati, organi sintetizzati e le linee melodiche del violino di Megan Parks, la canzone raggiunge il suo apice nel ritornello, quando la grossa mole di suoni si mescola insieme. La title track “8th Wonder” è una ballad acustica, adatta ad un road-trip fra le infinite strade dell’entroterra americano. A rendere interessante “Let’s Go Outside” è l’utilizzo del vocoder e di drum machine elettroniche affiancate allo scheletro acustico della canzone. Sebbene però per molti progetti, questa accoppiata abbia funzionato, in questa canzone fa storcere un po’ il naso. “Great Sky” abbandona i synth, concentrandosi su meno elementi, ma trovando il posto giusto per ognuno di loro. Il testo è un po’ banale, da come l’impressione di non significare nulla in particolare. “History Channel” torna ai ritmi delle prime tracce, grosse stratificazioni di sintetizzatori sul ritornello, e sezioni ritmiche veloci, per un testo che ancora una volta non da un’impronta che rimane impressa nella mente. 

“Garden” è un’altra ballata acustica, questa volta, nonostante alla semplicità di testo e arrangiamento, la band riesce a dare qualcosa di più. Se fosse uscita dieci anni fa “Sunshine” avrebbe avuto le potenzialità per essere una traccia da alta classifica. Il solo di violino si integra perfettamente in una canzone che richiama le contaminazioni country-pop degli anni 10. “Desert Creatures” parte da una sezione ritmica serrata, costruita da batterie elettroniche e grosse percussioni. Se Sunshine, richiamava all’attenzione un genere che era di tendenza all’inizio del secondo decennio degli anni 2000, questa canzone indica anche un album in particolare. Se Desert Creatures fosse stata scritta nel 2012, probabilmente Taylor Swift, l’avrebbe inserita nella tracklist di Red. Leggere melodie di piano forte aprono “Hurt Goes”. La traccia racconta la solitudine, il dolore e la speranza. “Trouble” è caratterizzata da comparti melodici synth-pop, ma la sensazione di vecchio che ci avevano lasciato tracce come Sunshine e Desert Creatures non va via. Non vanno via nemmeno nell’ultima traccia. “Rodeo” fa confluire in quasi quattro minuti tutti gli esperimenti che abbiamo sentito in precedenza. Vocoder, batterie elettroniche, violini e synth rendono orecchiabile questa traccia, ma quello che emerge davvero è l’immagine di una Taylor Swift del 2012 che canta una canzone degli Imagine Dragons del 2012 nel 2023.   

Voto: 4.5/10

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