• Pink Floyd – The Dark Side of The Moon
  • 1 Marzo 1973
  • ℗ Parlophone Records Ltd. / Warner Music Group Company

Enigmaticità, abbandono alla pazzia, lo scorrere inesorabile del tempo. Vita, crescita e morte di uno dei più grandi capolavori di tutti i tempi. “Dark Side” è stato l’ottavo album in studio del gruppo britannico ed il loro primo concept album, unico sotto tutti i punti di vista, a partire dalla raffigurazione del prisma che frammenta il fascio di luce che lo attraversa dividendolo in tutti i colori dell’arcobaleno, passando per le sperimentazioni sonore, fino ad arrivare agli argomenti trattati. Uno dei punti forse che rende questo disco così affascinante per le persone vive proprio dentro gli argomenti che i Pink Floyd vi hanno lasciato incisi sopra: Lo scorrere della vita, il percorso fisico e mentale di ogni individuo, l’essere parte di una società che corre troppo rispetto alle persone, la paura di impazzire ed infine, la morte. Quest’ultima viene descritta come una cosa positiva, contrariamente a quello che si può pensare. Lo scorrere del tempo, con tutti i suoi lati negativi e positivi (forse), ha anche un’altra incidenza su questo album, ne modella il significato in base all’età dell’ascoltatore. Ogni persona percepisce delle differenze nelle canzoni di questo disco, perché esso non è nient’altro che lo specchio del tempo che ognuno di noi ha passato su questo pianeta e le esperienze che ha vissuto.   

Dal punto di vista musicale, “The Dark Side Of The Moon” è molto più fruibile, ad eccezione di “On The Run” probabilmente, rispetto a gran parte dei loro lavori precedenti, come “Atom Heart Mother” o “Meddle”. Il quartetto di Londra abbandona gli arrangiamenti infiniti, concentrandosi su tracce più corte e tipi diversi di sperimentazioni sonore, generando un tipo di musica che fa vivere ad ogni ascoltatore il suo viaggio dentro la propria mente, fra le incertezze del futuro e la nostra inevitabile morte, unica cosa che accomuna davvero tutti gli esseri umani. Le sessioni di registrazione si sono tenute agli Abbey Road Studios tra Maggio 1972 e Febbraio 1973. Il disco venne prodotto da loro quattro, con l’aiuto di Alan Parsons, che diede degli spunti per alcune tracce. 

“Speak To Me” getta le basi per tutto ciò che verrà dopo. La dissolvenza in ingresso introduce un battito cardiaco, seguito da un insieme di effetti sovrapposti: urla, risate isteriche tratti di discorsi riguardanti la pazzia. L’apice della traccia arriva un attimo prima della sua fine, con la strillante voce di Clare Torry, che avrà un significato più forte in “The Great Gig In the Sky”. “Breath” è una canzone più leggera, costituita da morbide linee di basso e sezioni ritmiche, che lasciano lo spazio alle sperimentazioni di Gilmour, tra chitarre stracolme di effetti e lap steel. Gilmour da anche la voce a questa traccia, nel testo sono contenuti tutti i concetti che verranno approfonditi nelle tracce successive. Quello sicuramente che colpisce di più riguarda la metafora del coniglio che a ritmi frenetici scava un buco e, una volta terminato, si precipita a scavarne un secondo e così via per il resto della sua vita. “On The Run” comincia con ticchettii frenetici, e un suono che ricorda vagamente quello di un treno a vapore, una voce, sembra quella di un’operatrice di un aeroporto recita “Vivi per oggi / il domani è andato”, la tensione crescente culmina con il suono di un aereo che si schianta.

“Time” vede il contributo di Alan Parsons nei suoni di orologi e allarmi iniziali, d’altronde, come può una canzone che si chiama Time non avere dei suoni di orologio. L’atmosfera di questa canzone è cupa, anche in questo caso c’è una tensione crescente che culmina in due parti, la prima con l’allarme e il suono delle sveglie, la seconda con l’ingresso in scena di tutti gli strumenti, preceduto da una serie di fill di rototom di Nick Mason. Pattern di chitarra blues nascondono un testo sullo scorrere inevitabile del tempo. Il tempo viene paragonato ad una canzone, che ha un inizio ed una fine. Un altro concetto, che diventerà poi molto ridondante nella discografia dei Pink Floyd riguarda la “Quiet Desperation”. In questa canzone è come se Gilmour dicesse che l’unico modo che conosce per sopravvivere all’accorciarsi del tempo a disposizione man mano che invecchiamo, senza diventare pazzi è “aggrapparsi alla quiete della disperazione”.  “Time” torna cupa verso la fine, per andare ad incontrare la traccia successiva in una leggera melodia di pianoforte. “The Great Gig In The Sky” è sicuramente una delle canzoni più criptiche della band. Nasce da una progressione di accordi di Richard Wright, la sezione strumentale è piuttosto semplice, per lasciar spazio alla voce di Clare Torry, che cantando solamente una specie di lamento, trasforma la canzone in una montagna russa emotiva che viaggia attraverso la vita e la salute mentale umana. Il principale significato della canzone riguarda principalmente il rapporto delle persone con la morte, descritta quasi come una cosa buona. “Non sono spaventato di morire / non mi dispiace / Perché dovrei essere spaventato di morire? / Non c’è nessun motivo, devi andartene prima o poi”. “Money” affronta il modo in cui il denaro, che permette al mondo di andare avanti, ma al tempo stesso crea non poche problematiche, cambia il modo di essere delle persone, rendendole più ricche, più povere (moralmente), rendendole migliori o peggiori, dare la capacitò di fare cose inimmaginabili, sia in senso positivo che negativo. Uno dei punti fondamentali di questo testo è: “Money, get away! […] Money, get back!”. È un principio legato al fatto che, chi ha molti soldi tende a spenderli, come se volesse allontanarli, ma quando poi quei soldi non ci sono più si aspetta con ansia che ritornino da noi. Money è la prima canzone della seconda metà di “Dark Side”, galleggia su linee melodiche blues, partendo dall’inconfondibile giro di basso fino ad arrivare alla scintillante chitarra di Gilmour, che qui crea uno degli assoli più conosciuti della storia del rock, fino poi al Sax di Dick Parry.

“Us and Them” è probabilmente la canzone migliore dell’album. Il tema principale è la guerra, che diventerà sempre presente nella discografia futura della band. C’è anche l’incapacità dell’uomo di altre prospettive, diverse dal tutto bianco o tutto nero. Il ritmo lento di piano e batteria lascia posto a una malinconica linea di sassofono, voci echeggianti e arpeggi di chitarra. La tensione aumenta ad ogni ritornello, fino a scaricarsi in uno straziante assolo di sax. “Any Colour You Like” è completamente strumentale, inizia con un synth psichedelico, proseguendo in pattern di chitarra funky e l’eco di un organo.  Dopo l’allontanamento di Syd Barret, vecchio frontman, a causa delle problematiche legate alla sua salute mentale, il gruppo ha dovuto fare i conti con la sua figura che comunque non riuscivano ad allontanare dalle canzoni. Riusciranno a “dire addio” a Syd nell’album successivo, “Whish You Were Here”. A Syd è ispirata la penultima traccia di questo disco. “Brain Damage” vede la luce per la prima volta durante le sessioni di registrazione di Meddle. Nella canzone sono contenuti principalmente ricordi di infanzia di Roger Waters e momenti riguardanti l’ultimo periodo di Syd nei Pink Floyd. In questa canzone compare per la prima volta, fra i potenti vocalizzi di Clare Torry e un mix di tutti gli strumenti precedentemente usati, il titolo dell’album. Waters e Gilmour, che cantano all’unisono, confidano a quello che potrebbe essere Syd, che un giorno si incontreranno nuovamente e succederà nella parte scura della luna, quella impossibile da vedere, per noi sulla terra.

L’album si chiude con “Eclipse”. La canzone è un elenco di tutto quello che ogni persona può vedere, amare, comprare, dire, creare, odiare… e come in realtà tutto ciò, così come le persone stesse, sia piccolo ed insignificante. La metafora del sole eclissato dalla luna è geniale. (Tutte le cose elencate in precedenza passerebbero in ultimo piano nel momento in cui la luce del sole dovesse smettere di illuminare la terra, poiché la vita stessa smetterebbe di esistere). La canzone si conclude con una frase che richiama la traccia precedente: “Non c’è nessun lato oscuro della luna”. Poi un battito cardiaco che si dissolve, ed infine, la morte.

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