Tuesday Music Revival: Violator – Depeche Mode

Depeche Mode – Violator

19 Marzo 1990

℗ Venusnote Ltd. / Sony Music Entertainment International Ltd.

Il 28 Agosto del 1989 “Personal Jesus”, primo singolo che anticipa l’uscita di “Violator” fa capire a tutto il mondo cosa sono diventati i Depeche Mode. Con il loro settimo album in studio, i ragazzi di Basildon, non solo si sono presi il mercato discografico statunitense, che fino a quel momento li aveva snobbati, ma hanno conquistato l’intera scena mainstream, e la cosa più epocale è che l’hanno fatto con le loro regole e con un tipo di musica tutt’altro che mainstream.

Flood In Studio.

Il disco nasce sotto un periodo molto problematico di Dave Gahn, in balia delle dipendenze dalle droghe e della depressione. Il disco viene registrato tra i Logic Studios di Milano e i Puk Studios, in Danimarca. In cabina di regia viene assunto Mark “Flood” Ellis, produttore di Nick Cave And The Bad Seeds, U2, Nine Inch Nails, The Smashing Pumpkins, che aveva aggiunto ai cupi suoni sintetizzati del disco precedente, una scarica Blues-Rock. I grandi alle sessioni di mixaggio venne assunto François Kevorkian, che aveva collaborato, quettro anni prima, con i Kraftwerk.

François Kevorkian

Quello che ha permesso a questo disco di essere così grande risiede, probabilmente, nel fatto che ogni singolo membro ha trovato il suo posto in ogni singola traccia, senza rubare la scena all’altro. Alan Wilder lavorava sugli arrangiamenti e sulle sperimentazioni per trovare suoni nuovi, Dave Gahan dava la voce, Martin Gore scriveva le canzoni e Andrew Fletcher, non era più solo il tastierista del gruppo, ma si occupava anche di tutte le questioni manageriali, su scelta del resto del gruppo. 

La copertina del singolo “Personal Jesus”.

Il suono di basso e i loop campionati con l’Emulator aprono la prima traccia del disco. “World In My Eyes” vede Gahan addentrarsi verso atmosfere sessuali e sensazioni di piacere. In “The Sweetest Perfection”, Gore parla di impotenza e tentazione, una coppia perfetta per una canzone che strizza l’occhio allo stile di vita a base di sesso droga e Rock&Roll. L’intera canzone è un insieme di strati di suoni campionati, mandati in reverse, batterie elettroniche e effetti. “Personal Jesus”, tratta da un libro sulla vita di Elvis Preisley, porta il disco verso atmosfere cupe e irrequiete. Il loop campionato di sospiri, la chitarra di gore e la sezione ritmica martellante ti tengono con il fiato sospeso per tutti i cinque minuti di durata della canzone. 

“Halo” riprende tutti gli stili della prima traccia del disco. Tra i sintetizzatori graffianti e i campionamenti dei violini, la voce di Gahan canta di Bene e Male, ingiustizia e sensi di colpa abbandonati ai piaceri carnali. “Non vedi? / Tutti i lussi dell’amore / Sono qui per te e per me”. Sussurri e loop di sintetizzatore sfocati aprono “Waiting for the Night”. Le voci mescolate insieme di Gahan e Gore aspettano che la notte sopraggiunga, per scappare dalla realtà, in un’atmosfera cupa e apatica. “Sto aspettando che scenda la notte / So che ci salverà tutti”.

La copertina di “Enjoy The Silence”

Il secondo singolo estratto da questo disco, “Enjoy the Silence” è forse la canzone più famosa del gruppo, sicuramente quella più appetibile. Ricca di melodie, pattern di percussioni da club, chitarre colme di effetti e suoni orchestrali, sfociano in un finale minimale, costituito da voci acapella e suoni cavernosi. Il testo esplora la violenza del mondo che circonda Gore, sotto il solito filo conduttore di questo disco, la droga e la sessualità. “Le persone sono inutili / sanno solo fare del male”.

La chitarra di Gore fa esplodere in un graffiante riff “Policy of Truth”, sesta traccia del disco. L’oscurità della traccia, le armonie vocali e uno stile funk, fanno decollare Policy of Truth verso uno dei ritornelli più forti di questo disco. La canzone è intrisa di problemi legati al sesso e del non essere capaci di tirare fuori ogni parte di noi stessi, per paura di apparire sbagliati. In “Blue Dress” i sintetizzatori e i sussurri di Martin Gore si liberano in una ballad mai vista.

In questa foto sono ritratti, fuori dai Logic Studios di Milano, Andy Fletcher, Alan Wilder, Daryl Bamonte, Roberto Baldi (Ingegnere del suono), Martin Gore, David Gahan e Flood.

Nonostante abbia tutte le carte in regola per essere una ballad, il significato del testo è più perverso che amorevole. Il disco si chiude con “Clean”, costruita su un giro di basso “pinkfloydiano” e suoni ambientali riprodotti con i sintetizzatori. L’atmosfera è cupa, costituita da tamburi grossi e stracolmi di riverbero, voci robotiche e gli stessi effetti cavernosi dell’outro di Enjoy the Silence. È la fase di redenzione alla fine di un disco le cui fondamenta sono costituite solo da peccati.

Voto: 9/10

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